Al netto del forte impatto legato alle esportazioni di prodotti farmaceutici, la manifattura regionale chiude il 2023 con un andamento delle esportazioni pressoché invariato rispetto al 2022. Dato confortante se valutato in un quadro debole dell’economia: flessione di quasi due punti del commercio mondiale, petrolio ancora caro e inflazione alta nell’Eurozona, rinvio del taglio dei tassi, Germania in apparente recessione e difficoltà ancora evidenti sulle rotte commerciali con l’Asia. Ancora più incoraggiante, poi, se comparato con i livelli registrati prima del Covid: sempre al netto del farmaceutico, nel 2023 le esportazioni regionali hanno oltrepassato la soglia dei 13 mrd di euro, livello ben superiore ai pur elevati 10.3 miliardi del 2019.
Diverso lo scenario sul fronte della dinamica imprenditoriale: tra il 2019 e il 2023, la manifattura regionale perde oltre l’11% delle imprese, mentre in Italia il calo è di poco inferiore all’8%. Più pessimistico, dunque, ma solo in apparenza, perché la flessione nasconde l’esistenza di un processo di riorganizzazione industriale che interessa l’intero ventaglio dei prodotti, delle tecnologie e dei modelli operativi delle aziende.
Mettendo da parte la naturale preoccupazione generata dalla instabilità dello scenario post Covid, come leggere questi segnali? E quali le implicazioni? Innanzi tutto, le buone performance sono legate non solo alla riorganizzazione dei settori tradizionali, ma anche alla comparsa di settori nuovi, pressoché inesistenti nel panorama industriale dei primi anni Duemila: la cantieristica navale è oggi il quarto comparto per occupazione ed esportazioni, dopo la moda, il mobile, l’elettrodomestico; l’industria dell’aerospazio ha superato la fase embrionale e può oggi contare su operatori locali molto attivi sui mercati globali; i settori eco-sostenibili vedono la regione primeggiare nelle graduatorie nazionali e in ottima posizione per rilevanza e buone pratiche a livello internazionale. Riguardo ai settori tradizionali, invece, le imprese hanno riorientato il loro approccio al mercato e le produzioni lungo tre direzioni, con uno sforzo innovativo molto significativo: da un lato, hanno modificato gli obiettivi di medio periodo a favore di un più solido posizionamento nelle produzioni green e sostenibili; dall’altro, hanno modificato il portafoglio prodotti, investendo in maniera straordinaria sull’introduzione di prodotti di nuova generazione; infine, hanno introdotto o potenziato l’uso di tecnologie nuove rispetto a quelle che avevano sostenuto l’ondata di innovazione dello scorso decennio.
Le implicazioni di questi cambiamenti sono di due tipi.
Nel complesso, e messe da parte le naturali preoccupazioni legate alla instabilità dello scenario degli anni post- Covid, i dati segnalano la reazione positiva del sistema ad un quadro economico molto più complesso dello scorso decennio. In questa prospettiva, occorre tenere a mente che, se il sistema flette nei numeri, non flette necessariamente nella capacità di mantenersi attivo nei mercati internazionali, vero termometro della competitività. Dunque, sempre evitando facili entusiasmi, credo sia utile evitare ingenerose letture che descrivono il sistema come incapace di rispondere e di rigenerarsi, e auspicare che la politica industriale mantenga la direzione intrapresa di forte sostegno all’adozione di modelli industriali innovativi e sostenibili.
* Professore ordinario di Economia Applicata presso l’Università Politecnica delle Marche
Facoltà di Economia “G. Fuà”