Ecodesign e tessuti green per una moda sostenibile

Ecodesign e tessuti green per una moda sostenibile

di Francesco Regoli
5 Minuti di Lettura
Giovedì 19 Ottobre 2023, 06:30

Le prime cose che ci vengono in mente quando pensiamo al mondo della moda e dell’abbigliamento sono probabilmente le vetrine, le sfilate o i cataloghi online sempre più aggiornati per ordinare comodamente da casa. Quello a cui non pensiamo è che tutto questo ha un prezzo che non è solo quello del cartellino. Il settore tessile è infatti uno di quelli con il maggior impatto sull’ambiente in termini di consumo ed inquinamento dell’acqua, uso di terreni, emissione di gas serra, rilascio di microfibre nell’ambiente, gestione e smaltimento dei rifiuti e degli scarti di produzione. Basta vedere i dati recentemente quantificati dall’Agenzia Europea per l’Ambiente (Aea) e dalla Commissione Europea per rendersi conto che nel 2015 l’industria tessile e dell’abbigliamento ha utilizzato globalmente 79 miliardi di metri cubi di acqua, pari a un terzo del fabbisogno dell’intera economia europea.

Secondo alcune stime, per una sola maglietta di cotone occorrono 2.700 litri di acqua dolce (quello che una persona beve in 2 anni e mezzo) tra coltivazione della fibra e produzione tessile. Oltre all’elevato consumo di acqua, l’Aea considera il settore tessile anche responsabile del 20% dell’inquinamento globale di acqua potabile per i numerosi prodotti chimici utilizzati durante i vari processi di produzione, tintura e finitura dei capi. Non va meglio sul fronte delle emissioni visto che, sempre secondo l’Aea, l’industria della moda causa il 10% del rilascio globale di CO2, più del totale di tutti i voli internazionali e traffici marittimi: molte sono le proteste contro queste modalità di trasporto per ridurre la loro impronta di carbonio, ma poco si parla dell’impatto causato dall’esplosione della cosiddetta fast-fashion.

Già, perché con questa nuova modalità di acquisto, le vendite di abbigliamento negli ultimi 10 anni sono raddoppiate e il tempo di utilizzo dei capi si è dimezzato, portando inevitabilmente ad un continuo aumento nella produzione di rifiuti tessili arrivati nella sola Ue a 12,6 milioni di tonnellate all’anno: per l’acquisto di abbigliamento ogni cittadino europeo genera 270 kg di emissioni di CO2 e consuma 26 kg di prodotti tessili in un anno. Gli indumenti usati, quando esportati al di fuori dell’Europa, vengono in gran parte inceneriti o portati in discarica (87%) e a livello mondiale meno dell’1% degli indumenti viene riciclato come vestiario. Per far fronte all’impatto di questo settore sull’ambiente, la Commissione europea ha presentato una nuova strategia per stimolare l’economia circolare nel tessile dove parole chiave saranno ecodesign, responsabilità estesa del produttore (Epr), innovazione ed attenzione ai cicli di produzione e di raccolta.

La strategia comprende infatti nuovi requisiti di progettazione ecocompatibile per i tessuti, un passaporto digitale dei prodotti, misure volte a contrastare la presenza di sostanze chimiche pericolose, la riduzione delle emissioni di CO2. Con l’introduzione di regimi di Epr, aziende e produttori dovranno inoltre assumersi la responsabilità sui loro prodotti lungo tutta la catena del valore, compresa la fase in cui diventano rifiuti; l’obbligo di coprire i costi di gestione dei rifiuti tessili, rappresenterà un incentivo per aumentare la circolarità dei prodotti, progettandoli meglio dall’inizio.

Simili norme Epr hanno già avuto successo nel migliorare la gestione di altre tipologie di rifiuti come imballaggi, batterie, apparecchiature elettriche ed elettroniche.

Come ulteriore elemento per ridurre l’impatto ed aumentare la sostenibilità del settore, tutti i paesi dell’UE saranno inoltre obbligati a provvedere alla raccolta differenziata dei rifiuti tessili entro il 2025, scelta già adottata dall’Italia a partire dal 2022 dove attualmente tali rifiuti costituiscono lo 0,8% della raccolta differenziata.

Per rendere efficace questa misura sarà però fondamentale armonizzare tra gli stati le procedure di raccolta, di separazione e di eventuale riutilizzo dei rifiuti tessili. Il rilascio di microfibre nell’ambiente è un altro degli impatti causati da questo settore. Ogni anno circa 2 milioni di tonnellate di microfibre raggiungono il mare dove ormai rappresentano le microplastiche più diffuse: sono oltre 25 le microfibre che si possono ritrovare in un singolo litro d’acqua e la loro ingestione è documentata in tutte le specie marine con frequenze anche superiori al 90% (9 pesci su 10 con microfibre)! Non è un problema solo per il mare, perché dagli impianti di trattamento, le microfibre si depositano anche nei fanghi di depurazione, che spesso sono utilizzati in agricoltura, e da cui sono quindi trasferite nei suoli. Gran parte delle microfibre tessili viene rilasciata durante i lavaggi in lavatrice, da 700.000 ad alcuni milioni con un singolo carico di bucato; a livello globale, 840 milioni di lavatrici sarebbero responsabili di un rilascio di 360.000 tonnellate di microfibre che ogni anno finiscono nell’ambiente, da cui poi risulta impossibile rimuoverle.

Intuizioni ed innovazioni tecnologiche, la collaborazione tra ricerca e imprese possono portare a risultati concreti e virtuosi per contrastare questo problema intervenendo alla fonte. Ne è un esempio la prima lavatrice brevettata da Beko con un filtro integrato in grado di catturare fino al 90% delle microfibre rilasciate dai tessuti durante ogni ciclo di lavaggio: se ne è parlato recentemente a Venezia durante la campagna internazionale “Only One: One Planet, One Ocean and One Health” lanciata da Marevivo.

L’Università Politecnica delle Marche è impegnata a verificare il beneficio di questa strategia in termini di ridotto impatto sugli organismi marini, minor ingestione di microfibre ed effetti di queste particelle e delle sostanze chimiche trasportate. Ma anche il destino dei filtri e delle microfibre raccolte deve aprire orizzonti di sviluppo che vanno dalla possibilità di recuperare i materiali per realizzare nuovi oggetti ad altre forme di valorizzazione.

Durante l’ultima edizione di Sharper, è stato presentato un sistema che permette di trasformare la plastica raccolta dal mare e non riciclabile in energia… chissà, immaginare lo stesso percorso per i rifiuti tessili ed evitare che finiscano in discarica potrebbe permettere non solo di abbattere i costi della logistica e dell’impatto di questi rifiuti, ma anche di valorizzarli generando forme locali di recupero ed utilizzo energetico, contribuire ad aumentare la consapevolezza dei cittadini su questa emergenza ambientale e da ultimo, ma non per importanza, ridurre la probabilità di andare un domani a “ripescare” queste microfibre in mare. 

* Direttore Dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente Università Politecnica delle Marche

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