Quasi un anno fa, il 9 marzo 2020, l’Italia si fermò per un lockdown senza precedenti. Per quasi settanta giorni siamo rimasti isolati, impauriti, persi, spaventati, ammalati. Non avevamo strumenti per difenderci, le mascherine erano introvabili e non sapevamo come curare i malati di Covid. Solo un anno, eppure tante cose sono cambiate. Abbiamo intrapreso un percorso che difficilmente abbandoneremo, sarà impensabile tornare come prima, anche perché non più conveniente. L’uso di sistemi digitali di comunicazione, per lavorare, studiare, curarci e continuare a vivere riducendo gli spostamenti. Con la pandemia è arrivata una crisi economica anche questa senza precedenti, molte attività hanno chiuso e molte persone rischiano di perdere il lavoro. Il blocco dei licenziamenti in vigore da quasi un anno e prorogato al 31 marzo dalla legge di bilancio, secondo alcune stime prudenti, potrebbe riguardare oltre un milione di lavoratori e quindi un milione di famiglie. Introdotto dal precedente governo ha permesso di arginare le possibili perdite di posti di lavoro in questi mesi di emergenza, ma è una misura che ha un costo sempre più alto col passare del tempo e il nuovo governo non ha ancora deciso cosa fare. Le diseguaglianze, sociali, economiche e culturali sono aumentate. Basti pensare alla didattica a distanza, necessaria per continuare il percorso educativo dei più giovani, ma potenzialmente causa di diseguaglianze educative, quando le famiglie, anche per condizioni economiche non agevoli, non riescono ad accompagnare i propri figli nel percorso di apprendimento. La sfida che ci aspetta è ridisegnare il nostro sistema sociale ed economiche per sconfiggere tutto questo. Il progetto NextGenerationItalia, con le ingenti risorse economiche previste, deve puntare a questo partendo dai bisogni per proporre soluzioni innovative. Tre priorità trasversali sono da considerare: Donne, Giovani e Sud, per delineare un progetto capace di garantire una concreta sostenibilità sociale e ambientale. Se nulla dovrà essere come prima, occorrerà uno sforzo di progettazione e di programmazione capace di disegnare una prospettiva di futuro sostenibile con una significativa transizione ecologica e digitale. Se guardiamo quello che accade in Paesi a noi vicini, forse possiamo trovare buone idee da “copiare”. In Francia, la Ministra per la transizione ecologica e il Segretario di stato per la transizione digitale, hanno proposto una nuova politica pubblica per riunire le transizioni ecologiche e digitali coinvolgendo i cittadini in una tecnologia digitale più responsabile in grado di conciliare le esigenze ambientali e gli obiettivi economici per la competitività delle imprese e l’occupazione. In sintesi, la proposta vuol rispondere a due sfide: da un lato controllare l’impronta ambientale della tecnologia digitale, dall’altro quella di utilizzare quest’ultima come leva al servizio della transizione ecologica. Anche le tecnologie digitali hanno un impatto ambientale non trascurabile che andrebbe ridotto. Ad esempio, la costruzione di un cellulare ha un costo ambientale evidente: sono necessari 70 materiali diversi, inclusi 50 metalli, alcuni rari.
*Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione Facoltà di Ingegneria Università Politecnica delle Marche