Pensioni, la via incerta dell'Europa tra la sfida di Parigi e il “triple lock” di Londra

L'Ocse monitora i trend nazionali cercando i sistemi che possano disinnescare conflitti sociali latenti

Pensioni, la via incerta dell'Europa tra la sfida di Parigi e il “triple lock” di Londra
di Gabriele Rosana
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Mercoledì 4 Ottobre 2023, 16:41 - Ultimo aggiornamento: 5 Ottobre, 06:00

L'ultima a giocare il tutto per tutto è stata la Francia.

Le proteste che hanno messo a ferro e fuoco Parigi e il braccio di ferro politico-istituzionale hanno fatto seguito all’iniziativa del presidente Emmanuel Macron di innalzare gradualmente l’età pensionabile minima dai 62 odierni a 64 anni del 2030, al ritmo di tre mesi all’anno, e a fronte di un’anzianità contributiva di 43 anni per i nati dal 1965 in poi. Misure in vigore dal 1° settembre che hanno mandato un segnale chiaro anche al di là della Manica: toccare il sistema pensionistico vuol dire infiammare un conflitto sociale latente, in un contesto demografico nuovo e con una vistosa presa sulla composizione del corpo elettorale.

LA PROMESSA

E così, ad esempio, il Regno Unito ha, a stretto giro, appeso ogni velleità al chiodo e rinviato a dopo le legislative del 2024 la sua riforma previdenziale con conseguente (ipotizzato) aumento dell’età per lasciare il lavoro a 68 anni. Era una delle promesse del partito conservatore per questo mandato parlamentare, ma una serie di terremoti politici uno dopo l’altro (Brexit, pandemia, guerra russa in Ucraina) hanno suggerito ai Tories, già in estrema difficoltà nei sondaggi, di posticipare di un altro paio d’anni l’intervento. Rinvio accompagnato, tuttavia, da una promessa: il sistema della rivalutazione degli assegni, il cosiddetto “triple lock” introdotto nel 2010, non sarà toccato. Anche in futuro, insomma - è il piano dell’esecutivo di Downing Street -, l’incremento annuale delle pensioni dovrà seguire il valore più alto tra tre: inflazione, crescita annuale dei salari, oppure un moltiplicatore residuale del 2,5% se gli altri due indicatori si collocano al di sotto di questo. Se tracciare una linea retta tra Parigi e Londra risulta politicamente complesso, guardare ai due casi francese e britannico rivela, tuttavia, una verità di fondo: delineare una mappa europea delle pensioni è un esercizio che rischia di non andare lontano. Inserendosi nel dibattito sulla riforma francese, Les Décodeurs, rubrica di data journalism di Le Monde, ha spiegato, ad esempio, che le differenze tra i vari sistemi e le variabili in gioco sono fin troppe per potere immaginare una vera e propria geografia europea della previdenza. Nell’Ue, dopotutto, la sicurezza sociale è uno di quegli ambiti che, salvo per il coordinamento dei diversi sistemi nazionali, sfugge all’intervento normativo di Bruxelles. La definizione dell’età pensionabile, in particolare, è rimessa alla scelta di ciascuno Stato, così come l’opzione di riconoscere regimi speciali in deroga; gli stessi che la Commissione ha provato a censire su base volontaria, ma con magri risultati.

IL PROBLEMA

Tenuto conto di questi limiti, l’Ocse, l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico con sede a Parigi, cerca di monitorare i diversi trend nazionali e scattare una fotografia dei sistemi previdenziali nel Vecchio continente, con l’obiettivo di fare qualche previsione quanto al futuro delle pensioni. Se da una parte gli introiti medi dei pensionati crescono oggi a una media più rapida che per il resto della popolazione, dall’altra l’organismo internazionale lancia un monito ben preciso: «L’incertezza economico-finanziaria può motivare i governi a rinviare le riforme per rafforzare i loro sistemi previdenziali, ma ciò facendo si mette a rischio il benessere di pensionati attuali e futuri». È una preoccupazione condivisa con la Commissione, che infatti nelle sue pagelle periodiche sulle riforme degli Stati membri “richiama” all’ordine molti governi - dall’Irlanda al Lussemburgo, da Malta alla Polonia -, esortandoli in particolare a ridurre il fenomeno dei pensionamenti anticipati. In base alla ricognizione “Pensions at a Glance” dell’Ocse del dicembre 2021, l’anzianità anagrafica minima per lasciare il lavoro va dai 59 anni per gli uomini e i 58 per le donne della Lituania ai 63,7 per entrambe le categorie in Germania (Berlino punta, però, a portarla a 67 entro il 2031). Incrociando età minima e contributi legali, l’età effettiva in cui si va in pensione in Europa sale, invece, a 64,3 anni per gli uomini e a 63,5 per le donne, e questo per effetto di meccanismi diversi e complementari (ad esempio Quota 100 e i suoi successori). Lo studio calcola poi che chi ha iniziato a lavorare in questi ultimi anni dovrebbe riuscire a incassare in media 62% del salario al termine della carriera: ma si va dai picchi di Ungheria e Portogallo, con oltre il 90% a Estonia e Lituania sotto il 35%. Ed entro il 2060, le stime raccontano di un deciso incremento dell’età pensionabile: la Danimarca, prima della classe, con 74 anni è seguita a ruota dall’Italia e dall’Estonia con 71, fino ad arrivare a una media Ue/Ocse tra i 65,5 e i 66,1 anni.

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