Riceve 74 frustate per non indossare il velo, il racconto dell'iraniana Roya Hesmati: «Continueremo la nostra resistenza»

La donna ha 33 anni, così è stata torturata

Riceve 74 frustate per non indossare il velo, il racconto dell'iraniana Roya Hesmati: «Continueremo la nostra resistenza»
Riceve 74 frustate per non indossare il velo, il racconto dell'iraniana Roya Hesmati: «Continueremo la nostra resistenza»
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Domenica 7 Gennaio 2024, 12:58

L'orrore sembra non avere fine in Iran. Anche nella stanza della tortura una giovane attivista di 33 anni si è volutamente presentata senza velo. Era stata condannata ad essere frustata per 74 volte - secondo la decisione emessa dal giudice secondo le leggi in vigore - per non avere indossato il foulard in testa, coprendosi i capelli secondo il rituale islamico. Roya Hesmati è l'ultima vittima di un regime insopportabile per la libertà femminile. E anche quando davanti ai secondini le è stato intimato di indossare il hijab altrimenti gli sarebbero state inflitte altre 74 frustate, ha detto: no grazie.

La sua testimonianza completa è stata riportata sul suo profilo di Facebook e subito rilanciata da tanti siti legati alla lotta femminile e ai diritti umani, facendo il giro del mondo, l'ultimo segnale di un peggioramento in Iran dove ormai si persegue tutto ciò che viene percepito come una influenza occidentale.

Ecco il racconto: «Questa mattina ho contattato il mio avvocato riguardo alla esecuzione delle sentenze e siamo andati assieme al tribunale del Distretto numero 7. Sono entrata togliendomi il hijab mentre andavamo nel settore delle esecuzioni. A quel punto il funzionario mi ha suggerito di indossarlo per evitare guai (…) mi è stato detto: Allora ti frusterò in modo che tu sappia dove sei e aprirò un nuovo fascicolo su dite, altre 74 frustate perché tu sia di nuovo nostra ospite. Sono allora venute due donne velate per mettermi la sciarpa che ogni volta mi sono tolta”. Il racconto è impressionante: “l'uomo incaricato dell'esecuzione mi ha detto: "Porta il tuo cappotto". Ho appeso il cappotto e la sciarpa alla struttura di ferro della camera di tortura. A quel punto ha di nuovo detto: "Mettiti la sciarpa". Ho risposto: "Non lo farò. Metti il ​​Corano sotto l'ascella e poi colpisci". La donna è venuta e ha detto: "Per favore, non essere testarda" e mi ha tirato la sciarpa sulla testa».


Roya prosegue nell'esposizione dei fatti: «Il giudice ha detto: "Non colpire troppo forte". L'uomo ha iniziato a colpirmi le spalle, la schiena, le natiche e i polpacci con determinazione. Ho perso il conto delle frustate e ho sussurrato: In nome della donna, in nome della vita (…) Io so che la notte nera della nostra prigionia diventerà l'alba, tutte le ferite fresche saranno guarite, tutte le catene si trasformeranno.

Quanto tutto è finito siamo usciti. Ho fatto finta che pensassero che soffrivo per il dolore. Ho di nuovo scoperto la mia testa sulla porta. La donna mi ha detto: "Per favore, mettitelo". Non l'ho indossato e lei mi ha rimesso la sciarpa sulla testa nella stanza del giudice il quale ha aggiunto: "Noi stessi non siamo contenti di questa questione, ma è una sentenza e deve essere eseguita". Non ho risposto. Ha detto: "Se vuoi vivere diversamente, puoi andare fuori dal paese". Ho detto: "Questo paese è per tutti". Lui disse: "Sì, ma devi rispettare la legge". Ho detto: "Lascia che la legge faccia il suo lavoro; continueremo la nostra resistenza". Fuori dalla stanza mi sono ritolta la sciarpa”». 

A settembre un'altra donna, l'ingegnere Zaynab Kazemi, si era tolta il velo in pubblico per protesta durante un evento organizzato degli ingegneri di Teheran. E il video, divenuto virale, era costato anche a lei una condanna a 74 frustate con la pena sospesa per cinque anni in assenza della reiterazione del reato. La scure della legge si abbatte anche sulle «attrici che sono apparse in pubblico, togliendosi l'hijab» alle quali «è vietato il lavoro», aveva annunciato in ottobre il ministro della Cultura e dell'Orientamento Islamico, Mohammad Mehdi Esmaili.

Il simbolo della resistenza femminile iraniana resta il sacrificio di Mahsa Amini, morta a ventitrè anni nel settembre 2022 per le percosse e le violenze subite dopo l'arresto perché non indossava correttamente il velo, o Armita Geravand, uccisa a 17 anni nell'ottobre 2023 dopo 28 giorni di coma per un trauma cranico subito nella metropolitana di Teheran nella quale era entrata senza velo provocando l'ira - secondo testimoni - della polizia morale che l'ha spintonata, picchiata e percossa con violenza facendola cadere a terra. A rappresentarle tutte è Nerges Mohammadi, Nobel per la Pace 2023 e icona della campagna contro l'obbligo dell'hijab. Il premio non ha potuto ritirarlo perché rinchiusa nella prigione di Evin, Al suo posto, nel municipio di Oslo, c'era una sedia vuota. Sullo sfondo un suo ritratto: il volto incorniciato da folti riccioli scuri. Senza velo, ovviamente. 

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