Butta la moglie nel fiume, la donna annega. Il marito: «C'era un diavolo che mi possedeva»

Butta la moglie nel fiume, la donna annega. Il marito: «C'era un diavolo che mi possedeva»
Butta la moglie nel fiume, la donna annega. Il marito: «C'era un diavolo che mi possedeva»
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Sabato 21 Ottobre 2023, 10:13 - Ultimo aggiornamento: 10:16

LANCIANO «Quel giorno mi sono fermato sul ponte sul fiume Osento dove in 50 anni mai mi ero fermato, mi chiedo perché l’ho fatto. Io non c’ ero con la testa, vedevo nero. C’è stato qualcosa che mi ha fatto uscire di senno. Non so chi mi ha dato la forza di prendere di peso mia moglie dalla macchina e gettarla giù. È stato come uno scatto, un istinto, convinto che c’era un diavolo che mi possedeva e che mi ha convinto a fare quel gesto». È stato un racconto lucido e drammatico quello di ieri di Angelo Bernardone, 76 anni, di Casalbordino, che il 26 dicembre 2021 gettò nel vicino greto dell’Osento la moglie Maria Rita Conese, 72 anni, malata di Alzheimer e grave demenza vascolare. In quasi mezz’ora l’uxoricida ha ripercorso in Corte d’Assise a Lanciano quei tragici momenti dell’omicidio volontario avvenuto per l’impossibilità di gestire una situazione disperante che durava da tempo. Perché tutto nasce dallo sconforto di una moglie malata e ingestibile. 

Difeso dall’avvocato Vincenzo Cocchino, l’imputato risponde a tutte le domande, a partire da quelle del pm vastese Vincenzo Chirico. «Dopo il pranzo di Santo Stefano – ricorda – è voluta andare al cimitero di Atessa dove sono i genitori, che credeva ancora vivi. In macchina ancora liti perché diceva di non aver bisogno di me. Ha aperto la portiera della Panda per andarsene a piedi, ma aveva la cintura di sicurezza». Secondi dopo la sua mente va in tilt, l’uomo prende la consorte e la scaraventa giù nel fiume, da un’altezza del ponte di 10,60 metri, senza neppure guardare dove era finita. Riparte per avvisare il cognato della tragedia, ma torna sul viadotto e vede che il corpo di Maria Rita non si muoveva ed era incagliato tra i sassi, riverso nell’acqua. «A mio figlio ho detto: andate a riprendere vostra madre che io mi costituisco ai carabinieri».

Bernardone era aiutato ad accudire la moglie anche dai 4 figli, parti civili patrocinati dall’avvocato Giampaolo Di Marco. 

«Stavamo bene - racconta l’imputato – non c’era bisogno di quello che è successo. A mia moglie volevo bene e non ho fatto mai mancare nulla, ma la sua malattia si è aggravata dopo essere stata operata per un tumore al seno. La Sanità non mi ha mai aiutato, neppure con la 104. Anche i medici non hanno fatto il loro mestiere. Agli psichiatri ho chiesto di sapere se sono normale o pazzo e la stessa cosa chiedo a questa Corte; me lo dovete dire sennò non fate il vostro lavoro». In casa la situazione era difficile con la donna che usciva svestita, a volte ha preso i coltelli e voleva comprare 5 kg di mortadella. «Ha sempre avuto la gestione economica – dice il marito – poi ho dovuto toglierla. Ma avevo deciso che il giorno dopo la tragedia l’avrei messa nella casa anziani Villa Elena che costa 1.500 euro tanto la mia pensione».

Ultimi testi sono stati il fratello Giulio e il genero Nicola. Per il difensore Cocchino «la situazione era esasperata con disperazione sia da parte della povera vittima che del marito per una condizione non più sostenibile e poi il crollo psicologico che ha portato al gesto inconsapevole. Ha visto il buio e che un demonio lo guidava. Nonostante la limitatezza economica aveva deciso di portarla in una casa di cura impegnando il Tfr». Per l’avvocato Di Marco: «La lucida consapevolezza dell’imputato ci restituisce la solitudine che ancora una volta il processo ha portato all’attenzione. La Corte deciderà, ma il nostro compito è mantenere saldo il rapporto familiare che non è facile. La sua solitudine non giustifica comunque questo gesto estremo». Il primo dicembre discussione e poi sentenza. 

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