Jesi, un malato oncologico deve
attendere 15 mesi per una risonanza

Jesi, un malato oncologico deve attendere 15 mesi per una risonanza
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Venerdì 27 Novembre 2015, 05:37 - Ultimo aggiornamento: 1 Dicembre, 12:09
JESI - Quindici mesi di attesa per una risonanza all'addome. A meno di optare per la prestazione a pagamento: in tal caso, il posto sarebbe disponibile già questa sera. Poco importa se il paziente è un malato oncologico, con una impegnativa in mano, rilasciata dal medico curante, che obbliga il servizio sanitario regionale a fornire la prestazione entro 40 giorni. Il primo giorno utile, per il paziente di Monte San Vito, è a febbraio 2017. Ma non in provincia, bensì a San Benedetto del Tronto, centodue chilometri di distanza dal paese di residenza. A raccontare l'ennesimo flop dei piani di riduzione delle liste d'attesa, che continuano a rappresentare il problema più fastidioso e a quanto pare insanabile della sanità marchigiana, è proprio la mamma di colui che deve effettuare la risonanza. “Il primo giorno disponibile, ci hanno detto allo sportello dell'ospedale Carlo Urbani, è il 2 febbraio 2017, a San Benedetto del Tronto - racconta la donna di Monte San Vito -. Ovviamente, mio figlio non può attendere fino a quella data, dovendo eseguire un esame a metà dicembre per confermare il buon esito della chemioterapia completata nel mese di maggio. Persino al cup, contattato telefonicamente, ci avevano specificato che la lettera P nell'impegnativa indica quale tempistica massima di attesa un mese e mezzo. Ma solo sulla carta, purtroppo, stando alla nostra esperienza”. Non resta che il privato, dunque. E la rabbia aumenta a dismisura. “Siamo andati a verificare le disponibilità, ci hanno dato appuntamento già domani pomeriggio (oggi per chi legge ndr) - riferisce, non senza rancore, la signora -. Pagando 250 euro, più due euro di bollo, la risonanza all'addome può essere fatta entro 48 ore. O anche la prossima settimana, possiamo scegliere. In regime di servizio pubblico, invece, bisogna attendere 15 mesi e recarsi a cento chilometri di distanza. Ritengo questa situazione un sopruso. Se un medico vuole avviare un'attività privata non ho assolutamente nulla in contrario. Ma che almeno lo faccia con macchinari e strumenti da lui acquistati in un suo locale, e non con quelli che dovrebbero servire per il buon funzionamento del servizio pubblico. Mi sembra proprio un paradosso”.
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