L’attacco
La prima parte della denuncia: «Facciamo per salire le scale; sedute, e in piedi, ci sono alcune ragazze musulmane, con i loro vestiti leggeri, colorati, con il velo, ed i loro bambini che giocano. Arriva trafelato un signore, di nero vestito, in mano una vaschetta di plastica di pomodorini. Ci supera, e nel salire le scale lancia verso quel gruppo due tre frasi incredibilmente razziste, così, con un ghigno intriso di disprezzo».
La seconda parte arriva in cassa, quando è il momento di pagare. «Arriva una voce alta, dal tono sprezzante; un uomo, si quello dei pomodorini, il titolare o il gestore presumo, il quale, pochi metri più avanti, alla macchina per il caffè, deride e umilia a voce alta davanti a tutti un suo dipendente, un ragazzo giovanissimo, in silenzio, presumibilmente per avere sbagliato acqua per un cliente». E ancora, il racconto va avanti: «Il ragazzo si trova appiccicate alle orecchie due lunghe orecchie d’asino, di carta, bianche, con tanto di buco disegnato. Non pensavo mai di poter assistere ad una scena del genere». Perché la denuncia social? «Mi sentivo in dovere di farlo e raccontare quello a cui ho assistito» ha detto ieri Fioretti. Il post ha avuto una cassa di risonanza notevole, tanto da essere stato anche commentato a gamba tesa dal consigliere comunale di Altra Idea di Città Francesco Rubini.
La replica
Basiti dal post Luigi Catalano, il “signore dei pomodorini” indicato nel post e la figlia Denise, che gestisce il ristorante. «Siamo addolorati e dispiaciuto per le falsità che sono state scritte» diceva ieri Luigi Catalano, che si occupa della cucina del locale. «Io razzista? Ma è una cosa che non si può sentire.
Il commento
Sulla stessa linea è Denise Catalano: «Per quanto riguarda la questione del razzismo, se realmente quel cliente avesse notato qualcosa di negativo, allora mi chiedo perché non è intervenuto? E se quel cameriere fosse stato offeso, perché non lo ha aiutato?». Il dispiacere è tanto: «Noi vogliamo solo lavorare e non pensare a polemiche sterili. Noi trattiamo i nostri collaboratori come una famiglia, alcuni li accompagniamo a casa dopo il lavoro, altri li aiutiamo a sbrigare questioni logistiche: dalla ricerca di un alloggio ai documenti in questura. È da quando abbiamo aperto che sembra che siamo noi a subire episodi di bullismo».
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