Green energy, obiettivo 45% in Europa entro il 2030

Al summit di Dubai la Ue pone l’obiettivo di triplicare gli investimenti nelle rinnovabili. L’anno in corso ha registrato un riscaldamento record di 1,43 gradi Celsius

Green energy, obiettivo 45% in Europa entro il 2030
di Gabriele Rosana
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 15 Novembre 2023, 14:56 - Ultimo aggiornamento: 16 Novembre, 07:42

Il 2023 non è ancora finito, ma è già passato (quasi certamente) agli annali come l’anno più caldo mai registrato.

È con questo poco invidiabile primato che l’Europa e il mondo si preparano a una nuova conferenza annuale globale sul clima nel quadro delle Nazioni Unite: la COP28 che si svolgerà dal 30 novembre al 12 dicembre nell’Expo City di Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. Secondo il servizio che monitora i cambiamenti climatici del programma Copernicus di osservazione della Terra, finanziato e gestito dall’Ue, l’anno in corso ha finora registrato un riscaldamento record di 1,43 gradi Celsius rispetto ai livelli preindustriali. Un dato mai così vicino alla soglia di allarme (1,5 gradi) che gli Accordi di Parigi sul clima del 2015 hanno previsto come tetto di contenimento del riscaldamento globale. E nei prossimi mesi la situazione potrebbe non migliorare.

L’APPUNTAMENTO

Così il principale appuntamento planetario per la diplomazia climatica – assente annunciato, salvo sorprese, il presidente Usa Joe Biden, ma ci sarà papa Francesco per la prima volta di un pontefice – riprenderà il filo del discorso lì dove lo aveva interrotto al summit di Sharm el-Sheikh, un anno fa. A cominciare dal dossier “loss & damage”, cioè le compensazioni economiche che i Paesi più sviluppati devono versare a quelli del Sud globale come risarcimento per gli effetti dei cambiamenti climatici prodotti dall’intensa attività industriale dei primi a discapito dei secondi. Alla COP27 era stato fissato il principio; adesso, la conferenza Onu negli Emirati è chiamata a fornire maggiori dettagli su come funzionerà in concreto un tale fondo per le riparazioni, gestito dalla Banca mondiale. L’Europa pioniera del Green Deal, il maxi-piano verde con cui vuole azzerare le emissioni di CO2 entro il 2050, arriva alla COP28 di Dubai com’è nel suo stile: mostrandosi unita all’esterno, ma lasciando intravedere tutte le consuete divisioni al suo interno.

Cominciamo dal bicchiere mezzo pieno. Secondo una bozza circolata tra gli sherpa, i Paesi Ue sono, insieme agli Stati Uniti e ai padroni di casa emiratini, tra i promotori dell’inserimento nel comunicato finale (che i leader dovranno approvare il 2 dicembre) di un obiettivo volto a triplicare gli investimenti nell’energia rinnovabile entro la fine del decennio, in modo da abbandonare progressivamente l’impiego ancora esistente delle fonti fossili, carbone in testa. Economie emergenti come Nigeria, Vietnam e Sudafrica sarebbero già della partita, mentre la trattativa diplomatica è in corso con Cina e India, i due giganti asiatici che hanno rinviato il target emissioni zero rispettivamente al 2060 e al 2070.

NELL’UNIONE

L’Ue cerca così di proiettare su scala globale gli sforzi appena messi a segno in casa: un mese fa, i Ventisette hanno approvato in maniera definitiva la nuova direttiva sulle rinnovabili, che punta a portare la quota di energia pulita nel consumo complessivo dell’Unione al 42,5% entro il 2030 e prevede pure un ulteriore aumento indicativo del 2,5%, che consentirebbe di toccare la soglia del 45% prima del nuovo decennio. Il testo aggiorna, incrementandolo, il precedente target del 32%, sempre al 2030, e prevede procedure più semplici e veloci per permessi e autorizzazioni, per cui varrà il principio dell’interesse pubblico prevalente così da limitare i motivi di contestazione. Per arrivare ai nuovi obiettivi, calcola Bruxelles, serve più che raddoppiare la capacità eolica installata in Europa, la quale dovrà passare dai 204 gigawatt del 2022 a oltre 500 nel 2030. Da anni le rinnovabili sono la principale fonte che contribuisce alla produzione di energia nell’Ue, ma è una corsa a diverse velocità, come fotografano i dati del mix 2021. Il nord viaggia spedito, con Svezia, Finlandia e Lettonia, ad esempio, prime della classe “green” con rispettivamente il 63%, il 43% e il 42%. L’Italia, invece, si ferma poco sotto il 20%, a pari merito con Francia e Germania. Una situazione in chiaroscuro per Berlino che, dopo aver mantenuto fede all’impegno di chiudere le sue ultime centrali nucleari attive (neutre, da un punto di vista delle emissioni), non intende tuttavia rinunciare per ora al carbone, la fonte che rilascia più CO2, nel timore che uno stop possa portare a nuove fiammate dei prezzi. E questo benché la Germania sia leader in Europa nell’attrattività degli investimenti verdi. C’è poi una eco-Brexit nella Brexit: chi ha fatto da poco marcia indietro rispetto agli impegni “green” di cui era pioniere è, infatti, il Regno Unito. A doverlo certificare nel suo primo King’s Speech, leggendo il programma del governo conservatore, è stato, suo malgrado, un ambientalista convinto come Re Carlo III (anche lui atteso a Dubai): Londra vuole optare per un «approccio più pragmatico e realistico» nella transizione. E allarga le distanze con il resto del continente.

© RIPRODUZIONE RISERVATA