Conference League, da Gibilterra all’Azerbaigian la terza coppa d’Europa ferma in tutte le stazioni

Conference League, da Gibilterra all’Azerbaigian la terza coppa d’Europa ferma in tutte le stazioni
Conference League, da Gibilterra all’Azerbaigian la terza coppa d’Europa ferma in tutte le stazioni
di Benedetto Saccà
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Giovedì 19 Agosto 2021, 06:40

Lungo le linee non elettrificate del calcio europeo, alle estreme propaggini del continente, corre dal 6 luglio la Conference League, la (terza) coppa di cui la Uefa sentiva il bisogno da sei anni, ché i primi reperti risalgono addirittura al settembre del 2015. Eppure. Eppure, come ogni grande manifestazione, la Conference mescola destini e storie, traiettorie e sogni, ma soprattutto: vite. Da Gibilterra all’Azerbaigian (transitando rigorosamente per Roma), abbraccia tutta l’atlante dell’Europa – nomi strepitosamente immaginifici e impronunciabili, tra l’altro. Ed ecco allora un attaccante nato nel 2001 in Nigeria firmare il librone delle statistiche surfando sulla storia. Si chiama Evo Christ Ememe, gioca nel Mosta (per i curiosoni: è a Malta) e per sempre rimarrà il primo marcatore in assoluto della Conference League. Per la felicità Christ ha pubblicato su Instagram il video del gol – un destro basso incrociato sul palo opposto – e ha commentato a beneficio dei suoi 760 follower: «Grazie a Dio onnipotente». Sfortunatamente, poi, il Mosta è stato eliminato dallo Spartak Trnavas, però la gioia folle di Ememe rimarrà in aeternum a galleggiare in rete.

Un club del Lussemburgo si chiama Fola Esch, ha vinto le due partite giocate ed è curioso annotare che sia partito dai turni antelucani della Champions League – sì: quella vera del Barça e del Bayern.

Arriva festante dalla Champions anche il Football Club Prishtina, una squadra del piccolo Kosovo – non del tutto riconosciuto dell’Onu – formata da un congolese, un ghanese, diversi albanesi, un nigeriano e ovviamente da una valanga di kosovari. E poi, in Conference, c’è il Rakow di Czestochowa, che rappresenta la famigerata città della Polonia in cui è conservata l’icona della Madonna nera. Decisamente meno antico è il Riga, fondato giusto un paio di mesi prima dei Mondiali del 2014 e ben presto divenuto un’insalatona di passaporti. Ospita giocatori (nell’ordine) croati, colombiani, lettoni, serbi, islandesi, brasiliani (tal Felipe Bezerra Brisola), kosovari, finlandesi, marocchini, nigeriani, congolesi, ucraini e francesi – il francese è Jean-Baptiste Léo, nato a Lione e cresciuto nel Sochaux. A proposito di mar Baltico, bisogna ricordare il Futbolo klubas Vilnius Zalgiris, che ha uno stadio da 5.067 posti contati e, soprattutto, si affida a quel che l’ex laziale Ogenyi Onazi può ancora offrire. Personaggi fantasmagorici proliferano però ovunque.

Un esempio? Subito. Nel Paços de Ferreira, per dirne uno, ha trovato ricovero un certo Stephen Antunes Eustáquio, nato nel dicembre del 1996 e capace di aver giocato in tre squadre del Portogallo, poi in Messico e adesso nel Paços. Non pago di questo erratico peregrinare, Eustáquio si è divertito a vestire i colori del Portogallo Under 21 e, solo in un secondo momento, del Canada. In via analoga l’Aberdeen si è assicurato un ragazzo del 2002, Kieran Ngwenya, nato in Scozia da papà del Malawi e mamma di Trinidad e Tobago. Poi, una pausa. E all’improvviso, lenti, solenni e silenziosi, appaiono oltre le nebbie all’orizzonte gli squadroni: la Roma di Mourinho, il Tottenham di Kane. Paradossalmente alieni al contesto, sembrano bambinoni di quinta spostati per un giorno in prima elementare. Sembra di sentirlo, il rumore dell’attrito. Ma, forse, è il suono che fa la democrazia del pallone.
 

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