Merloni al Politeama di Tolentino
«In scena la mia nuova guardiana»

Francesca Merloni
Francesca Merloni
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Sabato 16 Dicembre 2017, 11:52
TOLENTINO - La parola poetica era accompagnata, quando debuttò quattro anni fa, dall’improvvisazione jazzistica di Danilo Rea. Ora Il monologo ha subìto una metamorfosi, anzi, un’evoluzione. In questa nuova versione di “Guardiana”, accanto a Francesca Merloni c’è in scena Gianmarco Tognazzi, che ne è anche il regista. Al piano, con la sua musica originale, Remo Anzovino. In tour in Italia dal febbraio scorso, si rappresenta domani alle 17,30 al Politeama di Tolentino.
Francesca, come è avvenuta questa trasformazione?
«Il nuovo percorso è cominciato quando l’editore Lorenzo Zichichi ha lanciato l’idea di mettermi accanto un uomo. L’ha proposta al suo amico Gianmarco, che ne ha fatta magistralmente la messinscena, con le scene di Bruno Ceccobelli, che le ha dipinte ispirandosi ai miei versi».
Qual è l’apporto di Gianmarco?
«Lui interpreta la parte maschile, scritta su di lui. È un attore straordinario, senza compromessi, molto serio e ha dato magistralmente al testo un’azione essenziale e intensa. Una presenza forte e delicata insieme. Ha inserito le poesie in un contesto di tempo e di spazio, pur mantenendo la narrazione astratta, senza tempo. È riuscito a dare una linea drammaturgica che mette in luce i sentimenti».
È un elemento essenziale, l’uomo?
«Dove c’è la donna, c’è sempre un uomo, questa è la vita. In scena siamo due esseri che tendono l’uno verso l’altro, che dialogano con due codici diversi, che si scontrano e respingono, ogni volta si ritrovano con le parole e col gesto. I due linguaggi insieme portano a una nuova consapevolezza. L’uomo è l’alter ego della donna, in tensione verso di lei».
Il titolo: la donna è “guardiana”?
«È un essere che guarda, un’essenza femminile materica e forte, una custode della creazione, la forza che muove il mondo. È una figura semplice e insieme complessa non leziosa, direi addirittura primitiva».
La poesia di “Guardiana” nasce da esperienze personali?
«Certo. Per scrivere è importante avere un orizzonte personale, confini certi. Poi, portare la poesia in teatro può essere rischioso, perché è rarefatta. Se vogliamo, la poesia è agorafobica. Gianmarco è molto bravo a trovare una strada per comunicarla, che non è limitante, che la lascia aprirsi al pubblico. Ognuno vede nella storia quello di cui ha bisogno in quel momento, ognuno reagisce secondo la sua esperienza. In questo la poesia è magica: ripara».
Che rapporto con la musica?
«Meraviglioso, com’è la musica di Remo, un grande artista. Per me la poesia è orale, nasce come ascolto. Cerco il suono, poi arriva il senso. La partitura scritta dal maestro Anzovino si intreccia con la parola, crea un linguaggio fatto di poesia e di musica, ogni parola ha la sua nota. Lui vi ha lavorato come fosse il duetto di un’opera lirica per soprano e tenore».
Qual è il valore aggiunto di questa versione rispetto alla precedente?
«L’incontro tra uomo e donna, la coralità a due».
Un aggettivo per definire lo spettacolo?
«Intenso e vero. Un paesaggio di sentimenti di grande verità».
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