SENIGALLIA - Bisogna avere il coraggio di dire che certe cose sono intraducibili, inspiegabili a parole. Questo assunto vale per il lavoro di Roger Ballen, uno degli artisti fotografici più influenti del ventunesimo secolo.
Nato a New York nel 1950, vive e lavora in Sud Africa per quasi quarant’anni. Geologo di formazione, dopo gli studi viaggia e inizia a fotografare ciò che vede: la ricchezza contro la povertà, l’oro contro il ferro arrugginito, il soprasuolo. Poi comincia a costruire i suoi personaggi, le sue composizioni in bianco e nero, rendendo reale ciò che è irrazionale, «fotografando le cose», come scrisse Kafka, «per estrarle dalla propria mente». Nella doppia sede di Palazzo del Duca e Palazzetto Baviera a Senigallia, è stata inaugurata il 14 aprile una mostra sorprendente – “Roger Ballen. The Place of the Upside Down” – con un nucleo di opere (circa una sessantina) provenienti dalla collezione del gallerista Massimo Minini (che è anche curatore dell’esposizione) e una selezione di 12 scatti a colori - inedita in Italia - della collezione personale dell’artista, che segna una nuova fase di sperimentazione tecnica nella sua poetica.
La mostra, che sarà visitabile fino al 2 ottobre, propone una selezione di fotografie che attraversano tutta la carriera di Ballen, appartenenti alle sue serie più famose come Outland (2000), Shadow Chamber (2005), Boarding House (2009) e Asylum of the Birds (2014).
«Noi cerchiamo il senso delle immagini che vediamo; Roger ci interroga sul fatto che la realtà sia un non sense, e quindi ci mette in una condizione di turbamento, che ha una fondazione esistenziale ed è legata all’analisi della nostra condizione di uomini», ha spiegato Didi Bozzini, tra i redattori del catalogo della mostra. L’opera di Ballen è fortemente etica e va oltre i criteri del bello e del brutto, parlandoci di un’umanità che sta “on the edge”, sul margine estremo.
Il suo lavoro è dedito a un autentico teatro dell’assurdo, attinge all’inconscio e dimostra un forte interesse per la figura degli outsiders, di coloro che sovvertono l’idea di normalità. Gli arredi sono minimi: tavoli improvvisati con oggetti che sembrano provenire da discariche, letti distrutti, bagni suicidi. Gli scatti di Ballen esprimono un linguaggio estremo, schietto, brutale. Delineano i tratti di un’atmosfera caotica e talvolta oscura, che è perfettamente riconoscibile, tanto che è stato coniato il neologismo “ballenesque”.