Tindaro Granata in “Antropolaroid. Il decennale”: «Apro il cassetto della memoria, uno scrigno prezioso»

Tindaro Granata in una scena FOTO RICCARDO PANOZZO/UFFICIO STAMPA
Tindaro Granata in una scena FOTO RICCARDO PANOZZO/UFFICIO STAMPA
di Elisabetta Marsigli
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Sabato 12 Marzo 2022, 11:00

SAN LORENZO IN CAMPO - Sarà il magico e affascinante “cuntu” di Tindaro Granata ad inaugurare il ricco cartellone di TeatrOltre, stasera alle 21,15 al Tiberini di San Lorenzo in Campo, anche nell’ambito della stagione di Teatri d’Autore. “Antropolaroid. Il decennale”, narra la storia della famiglia di Tindaro, di generazioni e di una terra, la Sicilia, da cui allontanarsi affrontando in questo narrare temi quali il senso di giustizia, la solidarietà, la lotta per

 
Un “cuntu” vero, come nella antica tradizione siciliana: come è nata l’idea di raccontare così le proprie origini?
«È nato per caso, non sapevo nemmeno di saper scrivere: a scuola scrivevo temi molto fantasiosi, uscendo spesso fuori tema. Forse tutto dipende dalla mia infanzia in un paesino con circa una ventina di case: avevo 5 anni ed ero circondato da anziani, il più giovane aveva 70 anni, che mi raccontavano le loro storie. Sapevo di essere il depositario di uno scrigno prezioso, la memoria di questo paese doveva essere raccontata e così, quando mi dicevano, “trova la tua strada e le tue origini”, ho iniziato a scrivere queste storie».


E cosa ha raccolto in questi 10 anni di repliche? 
«La cosa più bella, che mi succede sempre, è che la gente mi dice: “È come se avessimo aperto anche noi un cassetto nella nostra memoria”. In molti riconoscono che si tratta di una “saga” italiana, che c’è una generazione che in parte sta scomparendo, di cui noi siamo i figli. E sono felice quando questo spettacolo smuove qualcosa di antico che abbiamo dentro: la storia diventa universale e le persone ci si riconoscono anche se non sono siciliane».


Come un riappropriarsi delle proprie radici?
«La gente ha bisogno del racconto popolare, anche per sognare.

Il teatro contemporaneo tende a portare lo spettatore in diversi luoghi dell’anima, ma, a volte, ha una forma di cinismo nei confronti della vita e dei sentimenti. Questo mio cuntu è proprio il contrario: attraverso l’esperienza vuole portare a immaginarsi un mondo migliore, un pensiero di speranza».


Cosa è cambiato nel modo di raccontare questa storia?
«Essendo tradizione orale, cambia di sera in sera: sono tornato anche diverse volte negli stessi teatri, sei volte a Roma e dieci a Milano. Le storie sono quelle, le battute principali anche, ma cambiano di volta in volta, anche in funzione del pubblico che ho davanti. Ad esempio se sento che ridono troppo tendo a incupirlo, o il contrario».

E ora ha anche allievi?
«Al Piccolo di Milano ho insegnato come fare il proprio “antropolaroid” e ora, dove è possibile, porto un giovane artista a esibirsi prima di me. Questa sera ci sarà Emilia Tiburzi, romana, con Ciumachella, un monologo molto comico che parte dai funerali di Alberto Sordi».


Quali difficoltà ha trovato a insegnare ai giovani?
«Oggi i ragazzi hanno molta difficoltà a ritrovare il rapporto con le proprie origini. Io ho poco più di 40 anni, ma sono ancora nipote di chi ha fatto la guerra. I 18enni di oggi, forse anche per vivere in un’epoca così social, parlano di meno ed è come se non avessero aneddoti delle loro radici, del rapporto con la loro terra».

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