Nannipieri: «Bravo Gabbani, ma anche Junior Cally, Diodato ed Elodie»

Ezio Nannipieri, direttore artistico di Musicultura
Ezio Nannipieri, direttore artistico di Musicultura
di Ezio Nannipieri
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Lunedì 10 Febbraio 2020, 06:36
MACERATA - Al direttore artistico di Musicultura Ezio Nannipieri, di ritorno da Sanremo, abbiamo chiesto di tracciare un personale bilancio della 70ª edizione del Festival.

Mai forse come quest’anno commentare Sanremo è stato un must nazionale. Opinioni, chiacchiere, pettegolezzi si sono moltiplicate e rincorse, trovando nei social praterie sterminate dove dilagare. L’onda ha travolto anche chi preferirebbe restare all’asciutto, ad esempio come me, che del calderone festivaliero interessa relativamente poco. Sono semmai tra quelli che seguono Sanremo con il desiderio, forse ingenuo, di scoprire semplicemente qualche bella nuova canzone. Poi però arriva, implacabile, la fatidica domanda: “ti è piaciuto quest’anno il festival?”. Che dire allora del grande evento catodico che incolla oltre dieci milioni di italiani davanti al televisore? 

Fiorello, le donne e i messaggi
Posso dire che ho apprezzato Fiorello. Ha portato una ventata di imprevedibilità. La sensazione palpabile dell’amicizia tra lui ed Amadeus ha contribuito ad oliare gli ingranaggi dello spettacolo, a mettere lo stesso Amadeus a suo agio. La numerosità di presenze femminili associate alla conduzione ha costituito una novità e accresciuto la varietà delle serate; non mi sembra però che abbia scalfito la concezione ancillare del ruolo della donna nell’ambito dello show. Si sono registrate alcune testimonianze forti. Particolarmente toccante ad esempio quella di Rula Jebreal (confesso che nei suoi confronti partivo prevenuto, temendo propinasse una minestrina politicamente corretta). Insieme a tanti altri italiani mi sono commosso nel conoscere la storia di Paolo Palumbo, il giovane malato di Sla che ha portato sul palco dell’Ariston la sua sofferenza e la sua dignità. È vero, in “operazioni” del genere il mondo dello spettacolo sa e può essere molto cinico, ma dal punto di vista dei malati e di chi ne condivide le speranze e le difficoltà quotidiane è importante potere intercettare la sensibilità di milioni di spettatori, renderli almeno edotti dei fatti. 

Bravi Gabbani, Diodato e Morgan 
Ma veniamo alle canzoni. A mio modo di vedere sono state anzitutto troppo diluite, troppo spezzettate tra pubblicità e numeri d’arte varia. Inoltre continuo a non capire come tra i brani in gara continuino a figurarne troppi dei quali non si capiscono né le ragioni artistiche né quelle commerciali. Forse la rosa sarebbe da sfoltire e senz’altro da arricchire nella qualità media. Una canzone mi ha toccato in profondità, quella di Gabbani. Mi sembra un gioiellino di qualità superiore. Constato con piacere come, dopo Fabio Ilacqua, Gabbani si sia avvalso al testo della collaborazione di Pacifico, un altro vincitore di Musicultura, nel frattempo entrato di diritto nell’empireo dei song writers. Il brano più originalmente selvatico mi è parso quello di Bugo cantato insieme a Morgan, peccato per il clamoroso epilogo del loro sodalizio. Di sicuro resterà scolpito nella storia del festival e del costume televisivo. 

Sicuri successi alla radio
Tra i brani in gara trovo che più di uno abbia buone prospettive di fruizione radiofonica. Ad esempio quello del vincitore Diodato, che esprime una godibilità melodica in antitesi al rap e tuttavia moderna, ma anche le canzoni dei Pinguini tattici nucleari, de Le Vibrazioni, di Junior Cally, di Anastasio, di Diodato, di Elodie. Tutti loro sono stati in modi diversi convincenti nelle rispettive interpretazioni, altrettanto è stato per alcuni “vecchi” leoni e leonesse, come Piero Pelù, Irene Grandi e Tosca. Non sono mancati i casi in cui l’intronata routine del cantar leggero l’amore sul serio (per citare Panella e Battisti) ha dato il peggio di sé, ma non sempre è necessario fare nomi e cognomi. E i giovani? Rispetto all’innovazione di Baglioni, tornare a separarli dai cosiddetti big mi è sembrato un passo indietro. Quelle del vincitore Leo Gassman e di Fasma mi sono parse le due proposte più interessanti, anche se più in termini di personalità che di profilo delle canzoni. Mi è dispiaciuto per l’eliminazione di Gabriella Martinelli, la ricordiamo qualche anno fa tra i vincitori di Musicultura, ma Gabriella non ha niente da rimproverarsi, ha sfoderato verve e autenticità. 
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