L’amore fiorisce in ospedale, la regista pesarese Marta Miniucchi sta ultimando le riprese de “La stanza indaco”

«La storia di Romeo e India è un racconto che tocca il mondo materiale e quello spirituale»

La regista pesarese Marta Miniucchi
La regista pesarese Marta Miniucchi
di Elisabetta Marsigli
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Lunedì 25 Marzo 2024, 01:45 - Ultimo aggiornamento: 14:39

Dopo il successo del suo primo lungometraggio, il docufilm Benelli su Benelli, presentato alle Giornate degli Autori al Festival di Venezia nel 2021, la regista pesarese Marta Miniucchi sta ultimando le riprese de “La stanza indaco”, nuova produzione della Genoma Film, che racconta una storia vera ispirata al libro omonimo della scrittrice Costanza Savini e del medico Gianfranco Di Nino. La regista ha volutamente mantenuto l’ambientazione all’ospedale Sant’Orsola di Bologna, per raccontare la storia d’amicizia e amore nata tra due giovani nel reparto di terapia intensiva. 

L’umanizzazione delle cure

«Non è mai facile parlare di malattia», racconta Miniucchi «farlo bene se non altro, trovare il giusto garbo per mettere in evidenza quanto sia importante l’umanizzazione delle cure». La “stanza indaco” è un luogo che sta tra cielo e terra, all’undicesimo piano dell’Ospedale Sant’Orsola di Bologna nel reparto di Terapia Intensiva. Indaco è il colore che assume la sala durante il riposo notturno. Romeo, “ospite” fisso, è un ragazzo bello e dolce, malato terminale di leucemia, ama intensamente la vita e la sua batteria. India, giovane adolescente, (soffre di Bpco) è costretta a ricoveri ciclici e costanti. Quando si incontrano, scoprono di condividere molte cose e nascerà un grande amore indissolubile e indistruttibile.

La forza dell’amore

Proveranno, con tutta la loro forza, a vivere la loro esistenza; una gratuità a cui attingere a piene mani. «A prescindere dal fatto che si svolga in un ospedale, è un racconto di vita, una realtà viva e vera, che tocca due mondi, quello materiale e quello spirituale».

La storia narrata dal professor Di Nino, che è stato primario di terapia intensiva, «ci è piaciuta per la sua umanità, per un diverso approccio ad un mondo che pochi conoscono. Volevamo porre l’attenzione sulla possibilità di rendere più umana una fase della vita dove ti ritrovi a vivere quasi unicamente in ospedale. Per esempio a partire dai visitatori che, in molti casi, si possono permettere di non essere tutti coperti, bardati e chiusi in dei camici: a volte basta un semplice lavaggio delle mani. Raccontiamo quindi che si può vivere meglio o peggio, anche a seconda di come viene intesa la cura». Esistono, ad esempio, cure integrate che possono essere di aiuto al paziente e ai suoi famigliari. «Più che una storia d’amore, lo definirei un incontro, un intreccio di vite che condividono un percorso di intesa e condivisione profonda di una condizione difficile». Marta sottolinea anche la collaborazione dell’Ospedale e del suo personale: «Appena letta la sceneggiatura si sono resi subito disponibili: ci hanno dato la possibilità di girare in un reparto vero (il padiglione 25) e ci hanno fornito una preziosa consulenza medica e umana su tante storie realmente accadute. Medici e infermieri hanno lavorato con noi quasi tutto il giorno per rendere ancora più vera e reale questa storia».

Un altro docu-film

Il film uscirà nelle sale verso la fine dell’estate e la Genoma Film è in trattativa anche con Rai e Sky, oltre alla definizione della partecipazione a diversi importanti festival. Ma le sfide di Marta Miniucchi non finiscono qui: a breve tornerà nelle Marche per iniziare le riprese del docu-film su Scavolini.

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