Uno Bianca, la mamma del carabiniere
“Se escono uccideranno ancora”

Uno Bianca, la mamma del carabiniere “Se escono uccideranno ancora”
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Sabato 4 Gennaio 2014, 19:19 - Ultimo aggiornamento: 17 Gennaio, 19:10
BOLOGNA - Nessuna clemenza per i killer. quello che continua a chiedere - a 23 anni dalla strage del Pilastro - Anna Maria Stefanini, madre di Otello, carabiniere ucciso a Bologna con i colleghi Mauro Mitilini e Andrea Moneta dalla banda della Uno Bianca.

“Neanche ne voglio sentire parlare di clemenza - ha detto tra le lacrime, al termine della messa nella chiesa di Santa Caterina, dopo la commemorazione al cippo che ricorda il delitto - io sono cristiana e cattolica, ma quello non è un perdono che si può dare". I componenti della banda guidata dai fratelli Savi, dunque, devono restare in carcere “tutti i giorni, fino all'ultimo. Non meritano niente”. Per spiegare perchè secondo lei non devono uscire, la madre di Stefanini ha fatto l'esempio di Angelo Izzo, uno degli autori del “massacro del Circeo” del 1975, che poi, ottenuta la semilibertà, uccise due persone a Ferrazzano, nel 2005. “Qualcuno dice che si devono reinserire? Facciamo la fine di Izzo. Lo hanno reinserito e ne ha ammazzati altri due. Loro ne hanno ammazzati 24, ne ammazzeranno

48”.

“Ogni anno è peggio - ha detto ancora la donna - adesso vedrei mio figlio grande, con figli e moglie. E invece non mi rimane altro che andare su una tomba a portar fiori e preghiere”. Nel 1991 Stefanini aveva 22 anni.



Alla cerimonia era presente anche Rosanna Zecchi, presidente dell'associazione dei familiari delle vittime della Uno Bianca, gruppo responsabile di 105 crimini e 24 omicidi tra Bologna, Romagna e Marche dal 1987 al 1994. “Gli assassini - ha ribadito - non possono venir fuori, specialmente se sono reo confessi”. In carcere, “loro stanno bene, lo posso assicurare, li ho visti a Rimini: Fabio Savi a giugno, a novembre Roberto Savi, sono ingrassati. Sembra che abbiano rimosso tutto, perchè sono tranquilli. Ho visto anche Eva Mikula, anche lei sembrava una diva. Siamo noi che stiamo male perchè ci ricordiamo sempre di quello che hanno fatto”. Il riferimento è alle udienze del processo a Rimini all'ungherese Tamas Somogyi, ritenuto il fornitore di armi della banda, dove i due Savi e Mikula hanno testimoniato.

Alcuni dei condannati hanno avuto permessi: “Occhipinti - ha aggiunto Zecchi - li ha avuti, lo so per certo. Non possiamo fare nulla. La giustizia glielo permette e loro, praticamente, fanno quello che vogliono”.



“È comprensibile l'atteggiamento dei familiari delle vittime, i quali vorrebbero che persone che si sono macchiate di gravi crimini non uscissero dal carcere. Ma occorre tenere conto che i cardini dell'ordinamento penitenziario sono il reinserimento sociale e il recupero. Ed è un parametro che dovrà valere per tutti”. Lo dice l'avvocato Antonio Piccolo, difensore di Alberto Savi, il fratello minore di Roberto e Fabio, che come loro sta scontando l'ergastolo per i delitti della Uno Bianca.



Alberto Savi è in carcere a Padova e lavora nel call center del penitenziario. I termini per richiedere benefici, ha spiegato il legale, “sono maturi”. Saranno i giudici di sorveglianza a valutare “quando e come concederli”. Reinserimento e recupero previsti dall'ordinamento, ha proseguito, sono «graduali» e devono tenere conto delle gravità delle condotte. In tal senso, l'avvocato Piccolo ha ricordato che i vertici della banda erano Roberto e Fabio e non il suo assistito, che non partecipò a tutti i crimini. Nel 2006 Alberto scrisse una lettera alla madre del carabiniere Otello Stefanini, chiedendo perdono.
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