La musicista Roberta Pandolfi: «Mi chiamavano Radio Sorbolongo, una chiacchierona convertita alle note»

La musicista Roberta Pandolfi: «Mi chiamavano Radio Sorbolongo, una chiacchierona convertita alle note»
La musicista Roberta Pandolfi: «Mi chiamavano Radio Sorbolongo, una chiacchierona convertita alle note»
di Elisabetta Marsigli
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Domenica 7 Aprile 2024, 04:00 - Ultimo aggiornamento: 13:14

SANT'IPPOLITO - Per la sua notevole parlantina le avevano consigliato di fare l’avvocato, ma la musica l’ha conquistata al punto da diventare una splendida pianista. Stiamo parlando di Roberta Pandolfi, che insieme a Francesca Perrotta ha anche fondato l’Orchestra Olimpia, ensemble tutto al femminile. La sua travolgente spontaneità ha origine dal paesino dove ha passato la sua infanzia e adolescenza, Sorbologno, comune di Sant’Ippolito: «È un piccolissimo paese che, quando ero piccola, contava circa un centinaio di abitanti e adesso ne resta una trentina, compresi i miei genitori. È un posto molto bello e tranquillo dove si può giocare per strada e infatti da piccola mi “spaccavo tutta” con la bicicletta: ci lanciavamo nelle discese, nei fossi anche col triciclo o coi pattini. Eravamo un gruppo di bambine e bambini molto vivaci, sempre in giro, fuori casa. Noi ragazze ci inventavamo coreografie di danza o improbabili menù a base di terra e foglie con i nostri tegamini».

Le capriole nei prati

Capriole nei prati, insegnate dal nonno e la pallavolo: «Giocavo da sola a pallavolo contro il muro, sulla scia del cartone di Mila e Shiro».

Ma Roberta era soprattutto una gran chiacchierona: «Non so come abbia fatto mia madre a sopportarmi: quando tornavo da scuola mi mettevo a giocare nel negozio di alimentari dei miei. Lei non aveva bisogno di chiedermi nulla, perché io, fin dall’asilo, quando tornavo raccontavo tutta la mia giornata. Posizionavo i sottovasi di plastica al posto dei bambini e poi via, iniziavo a parlare, un racconto in diretta di tutto, tutto quello che aveva detto la maestra, tutto quello che era successo. Questa cosa mi ha fatto avere il soprannome di Radio Sorbologno». Una memoria sorprendente: «Che mi ha aiutato moltissimo: grazie alla mia “memoria di ferro” potevo permettermi di “assimilare” subito le lezioni e non aver bisogno di studiare più di tanto poi». Finché non è arrivato il pianoforte: «Ho iniziato a suonarlo perché lo ha fatto mia sorella Elena, più grande di me di due anni. È lei la vera studiosa della famiglia e, per volerla imitare, ho iniziato anche io. Così ci portavano entrambe dal maestro Giorgio Rossi di Fossombrone: mia sorella studiava tantissimo, io, almeno apparentemente, non più di tanto. Ma quando siamo diventate più grandine e frequentavamo il Conservatorio di Pesaro passavamo i pomeriggi interi a suonare: la mamma ci aveva recuperato gli spartiti dei Beatles e di Jesus Christ Superstar, quindi, a turno, una suonava e l’altra cantava». Ribelle nel Dna, Roberta è entrata in Conservatorio a 14 anni e contemporaneamente frequentava le commerciali, ma anziché suonare Bach, Mozart o Chopin, si divertiva a suonare le canzoni pop che registrava alla radio. «Ma è anche vero che forse è così che mi sono innamorata del pianoforte sul serio. Ho iniziato a frequentare Pesaro sempre più assiduamente e ho iniziato a prendere sul serio gli studi di pianoforte verso i 18 anni, anche se ancora non sapevo se volessi fare la pianista. In realtà avevo sempre pensato che avrei ereditato l’attività dei miei, dato che stavano andando in pensione. Del loro negozio di alimentari, prima a Sorbologno poi a Sant’Ippolito, pensavo di fare una catena di supermercati. Poi avevo anche pensato alla carriera di avvocato, data la mia attitudine alla chiacchiera con Radio Sorbolongo… I professori, anche alle medie, si lamentavano del fatto che parlavo, parlavo sempre e sembrava che non stessi mai a sentire, ma in realtà ascoltavo moltissimo e immagazzinavo informazioni».

Lo studio intenso

Ma il pianoforte l’aveva conquistata nel profondo: «Faceva parte della mia vita da quando ero bambina e ho capito che non avrei più potuto farne a meno. Così ho iniziato a studiare moltissimo, dalle otto alle dieci ore al giorno e ho iniziato a pensare che quello era quello che avrei voluto fare davvero e ho smesso di essere la giramondo che ero sempre stata. Se da bambina dovevano venirmi a cercare per il paese per cenare, anche da ragazzina non scherzavo: mi piaceva divertirmi, andare a ballare, andare ai concerti rock alternativi nei centri sociali. I temi sociali sono sempre stati al centro della mia attenzione, grazie anche alle mie radici, semplici e genuine, e creare l’Orchestra Olimpia è stato quasi naturale. Nella vita devi lavorare, ma quando il lavoro riesci a trasformarlo in qualcosa che non solo ti piace, ma è utile per la comunità e sposa i tuoi ideali, hai raggiunto il massimo».

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