La musicologa Ilaria Narici: «Elmo, corazza e spada, il Tancredi di Rossini»

La musicologa Ilaria Narici: «Elmo, corazza e spada, il Tancredi di Rossini»
La musicologa Ilaria Narici: «Elmo, corazza e spada, il Tancredi di Rossini»
di Elisabetta Marsigli
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Domenica 3 Marzo 2024, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 22:51

Raffinata e colta musicologa, Ilaria Narici, direttore scientifico della Fondazione Rossini, è nata a Milano, ma ha sempre avuto un grande legame con Pesaro. «Mio padre era sfollato da ragazzino da Napoli a Pesaro, dove la sua famiglia aveva delle attività - racconta Ilaria - come la mitica tipografia Federici e una zia che aveva una cartoleria in via Branca. Sono molto legata a questa terra, perché ci passavamo ogni fine settimana. Qui ho imparato ad andare a cavallo e facevo lunghe passeggiate dalle colline al mare, anche d’inverno».

I genitori di Ilaria erano due professionisti, il babbo un chimico industriale, che si è sempre occupato di farmacologia, e la mamma era un medico psichiatra. «Siamo quattro fratelli, di cui io la terza, e se adesso c’è una grande vicinanza, da piccolini le liti furibonde erano all’ordine del giorno. Ci sono 6 e 4 anni di distanza tra me e mio fratello e sorella più grandi, che puntualmente si coalizzavano per farmi sempre un sacco di dispetti. Per questo chiesi ai miei un regalo un po’ strano: una corazza, un elmo e una spada per difendermi. A ben pensarci sembravo un Tancredi rossiniano formato mignon».


Le passioni


Nonostante questo, Ilaria trovava il modo di coltivare le sue passioni, l’equitazione e il pianoforte. «I miei non erano musicisti, ma fin da piccola ho apprezzato che mi portassero a teatro a vedere l’Opera. Mi ricordo che ancora non sapevo leggere, ma a 5 anni già cominciavo a strimpellare sul pianoforte». Era una bravissima bambina: «Ho avuto anche un periodo in cui ero molto devota alla religione: un’ulteriore occasione per i miei fratelli di prendermi in giro chiamandomi “suora”. Essendo molto brava a scuola, l’altro soprannome era “prefe”, ovvero la preferita della mamma. Non era così, ovviamente, ma essendo loro due pesti…», racconta Ilaria sorridendo. 
«Diciamo che è stata un’infanzia un po’ conflittuale, motivo per cui ero molto timida e questa cosa me la sono portata per molti anni. Avevo pochi amici e mi rifugiavo nello studio, nel pianoforte e nella lettura». Il primo libro? Il sentiero dei nidi di ragno di Calvino. Ma anche le brave bambine incontrano momenti più bui: «Nell’adolescenza, da brava bambina mi sono trasformata in una specie di “disubbidiente programmatica”.

In V ginnasio, l’attuale seconda del liceo classico, ricordo di un quadrimestre in cui ero “non classificata”. Rifiutavo le interrogazioni ed ero contro tutto e tutti. Erano gli anni delle contestazioni del ’77 e a Milano il clima era pesantissimo: durante le manifestazioni i negozianti abbassavano le saracinesche. Io e una mia amica eravamo due scriccioletti, ma molto convinte politicamente, iscritte ovviamente anche ai collettivi femministi. Grandi convinzioni e grande passione e anche quella è stata una bella scuola di vita, anche se la piena consapevolezza era forse un po’ limitata. Ma vivevi il tuo tempo, ti calavi nelle problematiche sociali. Situazioni che forse oggi vengono vissute un po’ meno dagli studenti, forse più distaccati dal contesto sociale».


È durata un anno e mezzo quella fase: «Lì la musica che ascoltavo era quella underground, Lou Reed, Patti Smith, musica dark. Ero molto arrabbiata!». Anni di scontro anche con la mamma «che era molto preoccupata anche per le pessime amicizie che avevo. Poi un giorno la vidi piangere: lei era una donna molto forte e questo mi fece capire quanto fosse alta la sua preoccupazione. Così ho ricominciato ad appassionarmi allo studio e sono stati anni di grandissime letture: lessi tutta l’opera di Proust. Ricordo ancora l’angolo della casa della nonna dove mi ritiravo a leggere, tornando a ricercare la solitudine dell’infanzia». 


Il bivio


Ilaria finisce il liceo e deve decidere la sua strada: «Ero davanti ad un bivio: da una parte mi affascinava il lavoro di mia madre, l’idea della terapia di parole, di leggere nei pensieri delle persone, di interpretare i sogni. Ma mia madre mi disse che non era un bene fare il lavoro dei propri genitori e così, dopo la laurea in lettere mi sono diplomata al Conservatorio di Milano e di questa passione ne ho fatto una professione». E poi le coincidenze: «Il mio insegnante di Conservatorio, Azio Corghi, stava lavorando ad un’edizione critica di un’opera di Rossini, L’italiana in Algeri. Fu lui a suggerirmi di venire a Pesaro a conoscere Philip Gosset alla Fondazione Rossini, dove lavorai per un’estate. Poi conobbi Alberto Zedda. Non fu poi così difficile scegliere di stare in un luogo a me già così caro».

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