Gottin non è decisamente un cognome pesarese, ma Stefano, attuale presidente della Wunderkammer Orchestra, è nato a Pesaro. «Un cognome parecchio impegnativo», commenta sorridendo, «perché in tedesco Gottin equivale a divinità, dea. La mia famiglia è una famiglia cimbra, che proviene dall’altopiano di Asiago dove esistevano sette Comuni che costituivano storicamente una realtà a se stante dotata di autonomie ben precise da parte dell’impero austroungarico».
Ma a metà degli anni ’20 del secolo scorso, la famiglia del padre di Stefano si spostò a Torino. La mamma è pesarese ed è per questo che Stefano è nato qui e a Pesaro ha passato anche parecchie estati dai nonni e dagli zii. I suoi primi 5 o 6 anni li ha però passati in un piccolo paese vicino a Castelfranco Veneto, dove la mamma insegnava.«Mio babbo rientrò poi dall’Arabia Saudita, dove aveva lavorato per una compagnia petrolifera».
Bambino giudizioso
Da piccolo era un bambino giudizioso: «Il nonno mi portava sempre con sé per fare bella figura: se mi offrivano un bombolone rispondevo “no perché fa male”». E la musica classica è stata il leitmotiv di tutta la sua vita: «Ebbi la fortuna non solo di poter ascoltare alla radio le grandi voci della lirica, ma in chiesa, in Veneto, c’era ancora l’usanza delle messe cantate. In più avevamo un pianista come vicino di casa, il cui fratello era un gesuita molto amico di Federico Fellini. Quando in chiesa comprarono il nuovo organo ero talmente curioso che chiesi al parroco le chiavi per andare a vederlo: mia madre non poteva credere che avrei avuto il coraggio di chiedere una cosa simile a soli 5 anni».
Nel ’63 si trasferirono a Torino: «Dal paesino ad una città così grande fu un choc all’inizio, ma l’ho amata tantissimo e mi sento ancora un po’ torinese. A Pesaro mi traferii nel 1992, per motivi di lavoro, ma guarda caso, oggi mia figlia vive a Torino». Fin dalle elementari era un appassionato di ricerche e non era bravo in matematica: «Ma fu proprio questo a spingermi a fare lo Scientifico, una sfida per migliorare in quello che non sapevo fare bene e ho imparato a cavarmela anche con i numeri». In Stefano era molto vivo il senso dell’amicizia: «Nonostante fossi figlio unico non sono cresciuto viziato, anzi. Ho sempre allargato con piacere la sfera delle mie amicizie, anche nel lavoro. Non a caso sono ora il presidente della Wko».
Ma per Stefano c’è un episodio che dà davvero una svolta alla sua vita: l’incontro con Luciano Pavarotti. «Lo zio di mio cugino era molto amico di Luciano Pavarotti.
Stefano continuò a seguire l’opera e i grandi concerti anche a Torino, così come continuò il suo rapporto con Big Luciano: «Andavo nella sua casa sul San Bartolo ad ascoltarlo mentre preparava i suoi concerti. Non ho studiato musica, ma grazie alla mia sensibilità ho acquisito un discreto orecchio professionale e spesso gli suggerivo giovani artisti emergenti. Nonostante l’imponente sua presenza però, riuscii ad essere obiettivo: non gliel’ho mai detto, ma avrebbe apprezzato il fatto che mi sono quasi subito affrancato da lui. Se non lo avessi fatto, non sarei riuscito ad apprezzare altri grandi cantanti per il solo fatto che erano diversi da lui».
Da Big Luciano a Brachetti
E forse un altro artista deve a Gottin la sua carriera: «Ho scoperto da poco che il grande Arturo Brachetti frequentò la mia stessa scuola a Torino: non eravamo in classe insieme, ma sono abbastanza sicuro che fosse tra il pubblico che assistette ad una messinscena che ideai dal nulla sulla storia dei Nibelunghi, con tanto di dialoghi, costumi, musica, ecc. Ebbe un tale successo che ci fece i complimenti anche l’assessore alla cultura di Torino». Sorride «sarei onorato di scoprire di aver scatenato la scintilla di un talento così brillante come quello di Brachetti».
Elisabetta Marsigli
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