Non è la classica autobiografia, ma una vera e propria eredità di musica e parole. Il 9 novembre uscirà per Rizzoli “The Lyrics. Parole e ricordi dal 1956 a oggi” di Paul McCartney, un cofanetto in due volumi in cui uno dei più grandi musicisti della storia del pop rock racconta se stesso e la genesi di 154 canzoni che coprono tutte le fasi della sua carriera, compreso l’inedito dei Beatles “Tell Me Who He Is”. Curato e introdotto dal Premio Pulitzer Paul Muldoon, è impreziosito da centinaia di immagini inedite dagli archivi personali di McCartney e che spaziano attraverso sessantaquattro anni di carriera. Oggi pubblichiamo, in anteprima, gli estratti dei commenti di due brani iconici dei Fab Four, “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” e “Get Back”. Questa canzoni segnano due importanti svolte nella vita artistica dei Beatles: a proposito della prima Paul parla della decisione presa dalla band di interrompere i concerti dal vivo e di riformulare l’immagine dei Beatles, mentre con la seconda l’artista racconta lo scioglimento dei Fab Four, la fine di un’avventura che avrebbe cambiato per sempre la storia della musica.
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Una delle caratteristiche dei Beatles era che sapevamo prestare attenzione alle casualità.
Avevamo da poco tenuto un concerto al Candlestick Park. Durante lo spettacolo non eravamo riusciti nemmeno a sentirci; pioveva, per poco non siamo rimasti folgorati dalla corrente e appena siamo scesi dal palco ci hanno buttati nel retro di un furgoncino di acciaio inossidabile. Il furgoncino era vuoto, e noi lì dentro sballottati di qua e di là; tutti e quattro abbiamo pensato: «Fanculo, basta così». Quel giorno abbiamo deciso che non avremmo fatto più concerti. L'idea era che avremmo fatto solo dischi, e avremmo mandato in tour quelli. Una volta avevamo sentito dire che Elvis aveva mandato in tour la sua Cadillac placcata d'oro, e abbiamo pensato che fosse davvero un'idea brillante. Ci siamo detti: «Faremo un disco e quello sarà la nostra Cadillac placcata d'oro».
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Mentre tornavo da Denver ho suggerito agli altri che avremmo potuto inventarci degli alter ego. Il concetto era che avremmo smesso di essere i Beatles. D'ora in avanti saremmo stati quest'altro gruppo. Ho fatto un disegno in cui noi quattro eravamo ritratti davanti a un orologio floreale. Dal momento che l'orologio era fatto di fiori, era come se il tempo si fosse fermato. C'era qualcosa di piacevole, in questo pensiero. L'idea era impersonare una banda che stava per essere insignita di una coppa dal Lord sindaco di Londra, o qualcuno del genere. Una volta che ci siamo trovati d'accordo sull'idea della copertina, siamo andati dal costumista Monty Berman, a Soho, per farci fare le uniformi della banda su misura. Devo confessare che mentre ero a Denver avevo preso dell'acido, e tutto questo era una specie di gioco che stavo giocando dopo quel «viaggio». Avevo fatto quel disegno per far vedere agli altri come avrebbe potuto essere questo nuovo progetto. A loro è piaciuto. E ci ha davvero liberati. Ci ha offerto una specie di anonimato e la possibilità di prolungare la nostra vita artistica.
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