Il presidente Mattarella a Pesaro: «Per voi un sogno operoso». Scatta la standing ovation da brividi

Il presidente Mattarella a Pesaro: «Per voi un sogno operoso». E scatta la standing ovation
Il presidente Mattarella a Pesaro: «Per voi un sogno operoso». E scatta la standing ovation
di Maria Cristina Benedetti
6 Minuti di Lettura
Domenica 21 Gennaio 2024, 01:15 - Ultimo aggiornamento: 22 Gennaio, 08:44

PESARO In un crescendo rossiniano, la Vitrifrigo Arena si anima, si riempie, esplode in cori da stadio. In un accelerando che, sull’entrata in scena di Sergio Mattarella, si fa ovazione. Per la cerimonia inaugurale di “Pesaro capitale italiana della Cultura 2024”, con il presidente della Repubblica superstar, non si può che traslare la tecnica del concittadino più illustre, Gioacchino Rossini, uno dei più grandi compositori della storia della musica. Come il suo ripetere le battute dell’orchestra, con strumenti che entrano, gradualmente, fino a incalzare il ritmo, così l’Astronave arriva a coprire tutti gli ottomila posti disponibili, duemila dei quali sono occupati da studenti di quaranta scuole, della città e della provincia. Cinquanta fasce tricolore, sistemate nelle prime file, sono elemento cromatico e puro orgoglio, che fanno il giro d’Italia sulle immagini impresse da una diretta tv targata Rai3. Sintesi e narrazione della mattinata sono affidate a Paolo Bonolis, che sollecita platea e tribuna con gag calcistiche e i fasti della Scavolini volley. Niente atmosfera rarefatta dei teatri, delle precedenti edizioni, questo è uno spettacolo dai palpiti e movimenti pop. 


I cartoncini 

Il pubblico, interattivo, solleva all’unisono identici cartoncini bianchi per partecipare a un videomapping. Al motto “Diventa parte di un’opera d’arte”, nessuno rinuncia ad alzare le braccia. Spettacolo nello spettacolo. Con l’Inno d’Italia, quello europeo e l’Ouverture della Gazza ladra, suggestioni e colonna sonora sono a cura dell’Orchestra Olimpia di Pesaro, formazione tutta al femminile, nata nel 2018 da un’idea di Roberta Pandolfi e Francesca Perrotta. Come in un crescendo rossiniano. Oltre due minuti di battimani e tutti in piedi, è l’immagine indelebile dell’ingresso di Mattarella nel palasport, dopo il passaggio a Vallefoglia per l’esordio del Teatro Giovanni Santi.

Bonolis lo accoglie così: «Ecco il mio, il vostro presidente». Non trattiene la battuta: «È come Bruce Springsteen». I bambini delle scuole ne scandiscono il nome; la Megabox, squadra di volley femminile di A1, gli dona la propria maglietta in technicolor. L’entusiasmo, poi, si fa silenzio, riverente. E qui che il capo dello Stato srotola il suo manifesto e richiama le ferite più laceranti: «La cultura è un lievito che può rigenerare la pace. E con essa i valori umani che le guerre tendono a cancellare, annegandoli nell’odio, nel rancore, nella vendetta, indotti dagli estremismi nazionalistici». Il suo taglio del nastro non può prescindere dall’orrore che dilania il mondo: «In questo momento parlarne, pensarla e trasmetterla vuol dire alzare lo sguardo, per un compito di grande portata». Perché - è il suo credo - «la cultura è paziente semina, specialmente nelle nuove generazioni. È beneficamente contagiosa e concede di riflettere sulla storia per non ricadere negli errori del passato. Permette di ammirare l’arte, la bellezza, l’ingegno, consapevoli che l’estetica non può separarsi da un’etica di rispetto per la persona». Imprime il segno dei tempi: «Attraversiamo una stagione difficile, in cui l’uomo sembra, ostinatamente, proteso a distruggere quel che ha costruito, a vilipendere la propria stessa dignità». Annulla ogni spazio, ogni alibi: «Le guerre che si combattono ai confini dell’Europa ci riguardano. Il vento delle morti, delle distruzioni, degli odi percorre le distanze ancora più rapidamente di quanto non facciano le armi e incide sulle nostre esistenze, sulle nostre economie e soprattutto sulle nostre coscienze». Invita a non dimenticare, mai. «L’Europa, rinata nel dopoguerra, ha iscritto la parola pace nella sua identità». Pare un dialogo a distanza con il sindaco pesarese Matteo Ricci, che lo ha preceduto con un’incitazione: «Rilanceremo anche la cultura della pace: stiamo vivendo con impotenza e rassegnazione le guerre dall'Ucraina al Medio Oriente, ma non possiamo rassegnarci». Non a caso il logo che giganteggia su un mega-schermo riproduce l’albero sopravvissuto alla bomba atomica lanciata su Hiroshima.

La lezione 

La ripete come un mantra, Mattarella: la cultura. «Libera da ogni ideologia, mai separata dalla vita quotidiana e dall’insieme dei diritti e dei doveri scanditi dalla Costituzione». Ricorda la lezione del passato, esorta a replicarla: «L’Europa è tornata a vivere con la pace e nella pace. La straordinaria stagione di creatività culturale della seconda metà del Novecento è figlia di quella scelta. Quella promessa ha generato libertà e uguaglianza». Declina lo slogan dell’anno speciale appena aperto, il claim “La natura della cultura». Non transige: «La natura, il suo equilibrio da ricostituire, la riconciliazione con l’ambiente, gravemente violato e sfruttato, sono anch’essi obiettivi urgenti di civiltà e di pace. La distruzione di risorse non può essere gabellata come sviluppo, ma va indicata come regressione». Guarda la vastità della platea e si rivolge a ognuno di quegli sguardi, convinto com'è che l'identità italiana sia inimitabile: «Tanti - ne è certo - verranno a Pesaro, da altri luoghi e da ogni parte d’Europa, per incontrarvi, per conoscere il vostro patrimonio storico-artistico». Lo proclama, come fosse una lirica: «È una conseguenza di quella circolarità della cultura che non sopporta restrizioni o confini, che pretende il rispetto delle opzioni di ogni cittadino, che respinge la pretesa, sia di pubblici poteri o di grandi corporazioni, di indirizzare le sensibilità verso il monopolio di un pensiero unico». 

L’eredità 

Lievito e visione, il presidente enuncia il teorema del divenire: «Oltre che eredità del passato la cultura è soprattutto presente e futuro, non semplice consumo di ciò che è casualmente disponibile: è un passaggio di testimone da una generazione all’altra, uno dei compiti più importanti che appartengono a una comunità e alla sua civiltà. Un grande momento di civiltà, oltre che un dovere». Dà senso a quel suo dire: «Significa creare opere dell’ingegno». Cita l’antropologo Roger Bastide: «Il fatto che si continui a sognare conferma che la creazione resta da completare». Vorrebbe coglierli tutti, quegli sguardi che seguono ogni suo movimento: «Per Pesaro inizia oggi un sogno operoso». Lascia l’arena, Mattarella, riservando «un posto d’onore per Rossini» e seguendo i passaggi d’un canovaccio del paradosso: il rigore del protocollo e il tifo scatenato, insieme. Inevitabile la conseguenza: adatta le regole ai moti del cuore. Lontano dalla curiosità della folla, stringe la mano, esaudendo un suo desiderio, ad Anna Maria Mencoboni, detta Chicca, campionessa italiana di atletica leggera, non vedente. Alessandro, uno studente liceale accompagnato dalla presidente dell’Unione italiana ciechi e ipovedenti, Maria Mencarini, gli consegna un’edizione in braille della Costituzione. Il sogno, operoso.

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