Monsignor Coccia: «Riapriamo le chiese. Domenica al lavoro? In emergenza si può»

Monsignor Coccia: «Riapriamo le chiese Domenica al lavoro? In emergenza si può»
Monsignor Coccia: «Riapriamo le chiese Domenica al lavoro? In emergenza si può»
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Domenica 26 Aprile 2020, 03:00

Monsignor Coccia, arcivescovo di Pesaro e presidente della Conferenza episcopale marchigiana: siamo nel Tempo di Pasqua, i 50 giorni in cui la liturgia affida alla Chiesa il respiro festoso della resurrezione pasquale. Che sensazione le dà vivere questo tempo che sembra ancora una quaresima per tutte le privazioni?

«Una sensazione duplice nell’ottica della fede: da una parte la tristezza per la condizione generale di dolore e di malattia. Dall’altra la gioia, perché viviamo la Pasqua, una celebrazione vivente, non un ricordo. Certo un momento particolarissimo: nella fede vissuta, possiamo capire bene cosa significhi calare nel mistero della vita il mistero di Gesù Cristo. Il dolore e la grandissima gioia, la speranza certa della celebrazione della Pasqua».

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Dovesse indicare visivamente delle immagini di resurrezione, di speranza viste in questi lunghi giorni?
«Ho visto dolore e morte ma anche tanti atti di generosità e di solidarietà. Si sono palesate risorse nascoste a tutti i livelli: dalle famiglie alle imprese che stanno supportando, non sopportando, il mondo sanitario. E poi il volontariato che dà un servizio ancora più ampio alla comunità in crisi. Certo, nel complesso è un chiaroscuro ma con prevalenza del sole e della luce».

È vero che c’è stato un ritorno alla fede in questo grande tempo di incertezza?
«Intanto è stato un tempo in cui ci è stato chiesto di comunicare fronteggiando una nuova situazione. Abbiamo celebrato via streaming o tramite tv locali. Ci sono state richieste di sostegno e di chiarificazione. È stato un tempo estremo che ha messo in difficoltà tanta gente, non solo materiale. Molti hanno chiesto un respiro di spiritualità, una parola di certezza, un momento di preghiera. Basti pensare alla celebrazione a parte dei funerali. C’è stata anche la richiesta di essere accompagnati nell’incontro con la malattia, che produce dolore e si può tradurre nella morte. I fronti sono tanti: soprattutto c’è stato bisogno di tanta concretezza nei bisogni materiali, le Caritas hanno lavorato alacremente».

Lei è laureato in sociologia, ad Ascoli - tra le altre sedi - è stato parroco a Monticelli, quartiere popolarissimo: cosa vede nel tessuto sociale delle Marche?
«Registro due elementi: il primo è uno spaesamento, sono saltati modelli di vita e di abitudini. C’è un disorientamento generale. Per contro, dall’altra parte si avverte l’esigenza di ritrovare dei punti fermi, una situazione nuova che richiede anche capacità creativa. Vale anche sul piano ecclesiale: c’è l’esigenza di trovare, trasformare il travaglio del passaggio. Ci sarà una modifica radicale degli stili di vita, dell’approccio alla realtà e di investimento delle risorse».

Si può dire che come il popolo ebraico stiamo attraversando il mar Rosso?
«Tutta la vita cristiana si muove a partire da un’esperienza di esodalità per vivere la sinodalità. Usciamo insieme per costruire insieme: sono gli elementi conduttori della vita cristiana». 

Il Mosè della situazione? 
«In primis Gesù Cristo, poi Papa Francesco. La classe politica? Sta cercando di fare il meglio, questa situazione era imprevista e imprevedibile».

Quando parlava di modelli spazzati di vita ecclesiale a cosa si riferiva?
«La vita di questi giorni ci ha dato molti spunti: per la liturgia, per la catechesi e per l’uso dei mass media. La tecnologia ci ha aiutato molto. Faccio un distinguo, però: la comunicazione non equivale alla comunione. E a noi interessa la comunione. Il nucleo su cui fondiamo la nostra fede è la comunione tra noi e il Signore».

Si parla di lavorare 7 giorni su 7, a proposito di schemi stravolti. Addio al riposo nel settimo giorno?
«Si dovrà trovare una conciliazione. Riposare è un diritto ma in situazioni di emergenza e di contingenza storica, certe esigenze possono essere contemperate. Anche qui, ci deve essere un punto fermo: la celebrazione della festa per la resurrezione poi si metteranno insieme tutte le esigenze».

Ma non è anche ora di riaprire le Chiese? La Cei sta facendo pressioni sul governo perché anche la fede possa ritrovare degli spazi di vita.
«La Cei ha attivato un gruppo di lavoro che è in costante cofronto con il governo.

Gli spiragli sono davanti a tutti: i primi due passi sembrerebbero quelli di riaprire le chiese e poter celebrare i funerali davanti a un’assemblea molto ristretta, i famigliari più vicini. Siamo fiduciosi e in attesa».

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