Barbara Cervasi: «Virus cattivo: viene dagli animali, loro ci aiuteranno per fermarlo»

Barbara Cervasi: «Virus cattivo: viene dagli animali, loro ci aiuteranno per fermarlo»
Barbara Cervasi: «Virus cattivo: viene dagli animali, loro ci aiuteranno per fermarlo»
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Martedì 14 Aprile 2020, 05:35

ANCONA  - «Studiamo gli animali perché sono i più simili a noi: ci aiutano a capire meglio come funziona un farmaco o come si sviluppa nel dettaglio una malattia. È vero quel che si è detto: il Covid-19 arriva dagli animali che prima di noi hanno creato nel tempo gli anticorpi. Così dovrà fare l’uomo anche se purtroppo ci vorrà tempo». Dall’altra parte dell’oceano, ad Atlanta, Georgia, Stati Uniti del Sud, la biologa molecolare senigalliese Barbara Cervasi risponde alle 8 di mattina con la voce già squillante. 

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Guarda all’Italia con un po’ di nostalgia e un po’ di apprensione. Come tanti colleghi, c’è anche lei nella folta prima linea di ricercatori che stanno portando avanti attività di studio in grado di costruire terapie per contrastare il mostro Coronavirus e soprattutto il vaccino che lo metta in condizione di spegnere la pandemia. Cercasi è direttrice della Citofluorimetria di ricerca alla Emory University di Atlanta e allo Yorkes Primate Center. È nella squadra del professor Guido Silvestri, l’immunologo, senigalliese anche lui, di fama internazionale tra i più ascoltati in ambito di Covid-19. 

Lo Yorkes è uno dei sette centri statunitensi che si studiano “non-human primates”, primati non umani: «Le scimmie, pricipalmente - sintetizza Cervasi - ma anche topi e altri animali. La citofluorimetria è una tecnica di laboratorio con cui a partire da un campione di sangue si separano popolazioni di cellule differenti. Prendiamo per esempio i linfociti: ce ne sono diversi tipi, poi ci sono dei sottotipi e così via. Ecco, secondo le richieste degli enti di ricerca che lavorano noi, tramite degli agenti specifici ci occupiamo di fare sorting, cioè di separare gruppi di cellule da altre. Che poi restituiamo a nostri committenti. Questo passaggio consente ai ricercatori fare attività di analisi avanzata su tantissimi fronti: dal modo in cui si sviluppa la malattia, alla reazione del sistema immunitario dell’uomo fino alle capacità di azione di un farmaco su quelle determinate popolazioni di cellule». Cervasi è ad Atlanta ormai da dieci anni. Prima quattro a Philadelphia a University o Pennsylvania, prima ancora il master in Italia. tutto è partito dal dottorato all’università di Urbino dove si era laureata: «A ottobre del 2001 partiti, un mese dopo l’attentato delle Torri Gemelle. Biglietto il sabato e partenza il lunedì. Un salto nel vuoto. A Parigi in aeroporto c’erano cinquanta persone». 

Dopo l’esperienza straniera il rientro in Italia e nel 2006 la decisione insieme al marito Mirco Paiardini, di Urbania, di tornare di là. «Non eravamo soddisfatti in Italia, è stata una scelta faticosa. Abbiamo trovato questa opportunità a Philadelphia dove lavorava Silvestri e ci siamo tuffati. All’inizio è stata durissima, poi abbiamo costruito la nuova vita». A Philadelphia, Cervasi era postdoc, il primo grado della carriera universitaria. Nel 2010 il ritorno alla Emory per dirigere Citofluorimetria. «Diciamo che sono rimasta in ambito accademico, faccio ricerca pratica». Il marito Mirco, invece, ha scelto una strada adiacente: «È diventato p.i., professore, come Silvestri che tra Emory e Yorkes ha due affiliazioni: è capo del dipartimento di immunologia e della Patologia. Mirco presenta progetti, studia cure, cerca finanziamenti: il suo target è stato per tanto tempo l’HIV, adesso anche lui si sta spostando sul Covid-19». Paiardini e Cervasi hanno fatto parte di una nidiata di ricercatori marchigiani che hanno fatto scelte diverse: l’anconetano Andrea Costantini è rientrato alla Politecnica, la senigalliese Sara Paganini lavora a Boston in una company, a Boston; il fanese Luca Micci idem ma nella Merck a San Francisco. 

Silvestri nel post su Facebook che l’ha celebrata per raccontare la Cervasi ha ricordato le parole del marito: «Quando si incazza la Barbariccia per il virus non c’è scampo».

E lei come lo vive il tempo del virus fuori dalla Citofluorimetria? Intanto, rifugge il cliché del cervello in fuga. «Siamo felici, abbiamo un figlio, Alessandro, ha 7 anni, l’italiano lo parla bene e quando torna a casa non è spaesato. Un tempo strano, anche qua. Siamo molto livellati, il virus non si vergogna ed è cattivo. Seguo le regole al massimo quando vado nei groucers, i negozi di alimentari. Secondo me, è importante il fatto che non si cerchi di stare troppo insieme, il virus passerà». Si alterna con una collega in laboratorio: «Ma quando ci sono campioni legati al Covid-19 dobbiamo sempre essere in due. Non si sa mai».

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