Morandi, più sprint sulle infrastrutture per essere competitivi: «Da un’emergenza all’altra ora basta zappa sui piedi»

Morandi, più sprint sulle infrastrutture per essere competitivi
Morandi, più sprint sulle infrastrutture per essere competitivi
di Martina Marinangeli
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Mercoledì 14 Febbraio 2024, 03:00 - Ultimo aggiornamento: 15 Febbraio, 08:51

Andrea Morandi, ceo del Morandi Group: il 2023 non è stato esattamente l’anno d’oro del traffico merci per i porti e il 2024 si è aperto con la crisi nel Canale di Suez. Nella sua attività ha già riscontrato questi segnali negativi che stanno mettendo in crisi il settore in tutta Italia e non solo?

«Nel 2023 c’è stata una frenata generale dell’economia italiana ed europea. Anche noi, nel nostro piccolo, possiamo notare un decremento nei flussi, sia nei container che nelle merci che viaggiano via traghetto. Ma va fatta una precisazione».

Ovvero?

«Per i volumi che abbiamo ad Ancona, dobbiamo essere sempre molto cauti perché le flessioni possono essere legate a motivi contingenti e della durata di pochi mesi. Quindi non è detto che diventi un dato stabile e segni un nuovo livello di riferimento». 

Quali possono essere le ragioni contingenti?

«I mesi di gennaio e febbraio, per esempio, sono sempre particolari: possono presentare delle flessioni perché magari a fine anno si era ordinato di più, oppure per via del Capodanno cinese, periodo durante il quale statisticamente i traffici calano. Dunque non deve far preoccupare troppo se a inizio anno ci sono flessioni».

Cosa invece fa scattare il campanello d’allarme?

«Quando i fenomeni come quello che sta accadendo ora nel Mar Rosso, con la crisi di Suez, diventano strutturali. Se il passaggio fosse bloccato per lungo tempo, è ovvio che ci sarebbero conseguenze fortemente negative».

Per esempio?

«I noli, che sono aumentati in conseguenza di questa problematica, potrebbero restare elevati per un lungo periodo. Se le navi sono costrette stabilmente a fare due settimane aggiuntive di navigazione per circumnavigare l’Africa e raggiungere i nostri porti, i costi si scaricano sull’utente finale».

Si sta cercando di rimediare?

«Le compagnie di navigazione hanno ordinato nuove navi che stanno per entrare in servizio, quindi l’offerta sarà maggiore: di conseguenza, i prezzi dei noli non dovrebbero continuare a salire. Anzi, dovrebbero scendere».

Difficile fare previsioni a lungo termine: ma nell’immediato questa crisi come potrebbe impattare sulla nostra economia?

«Dobbiamo stare attenti all’economia delle imprese marchigiane perché il traffico container è legato al loro stato di salute.

Dobbiamo capire se hanno già iniziato ad ordinare di meno, se hanno avuto difficoltà ad approvvigionarsi. Se i ritardi di due settimane si traducono nella necessità, da parte delle aziende marchigiane, di rivedere i loro piani, gli effetti della crisi diventerebbero strutturali».

Si è già messo in moto questo cambiamento nella pianificazione delle nostre imprese?

«Per il momento no, anche perché ci auguriamo tutti che questa situazione rientri e trovi una soluzione: non è pensabile che il Canale di Suez resti bloccato».

Prima il Covid, poi l’impennata nei costi dei carburanti e l’inflazione. Ora la crisi nel Mar Rosso. Negli ultimi 4 anni si è passati da una crisi all’altra: ci si deve abituare all’emergenza, diventata nuova normalità?

«Lavorare in questo settore è come vivere perennemente dentro al Pronto soccorso: lo shipping, per definizione, reagisce per primo ai cambiamenti geopolitici, economici, alla variazione dei traffici. Siamo abituati a lavorare nell’incertezza, ma l’impatto di questi fenomeni ci preoccupa. Guerra e pandemie hanno un impatto enorme ed esulano da cicli economici normali. E quando si verificano uno dopo l’altro, non riusciamo a respirare. Una cosa che possiamo fare è non darci la zappa sui piedi».

Cosa intende?

«Intanto non dobbiamo esagerare con la transizione ecologica, perché in uno scenario del genere diventa ancora più difficile trovare risorse per raggiungere degli obiettivi di impatto ambientale già complicati».

Cos’altro?

«Non dobbiamo essere lenti nel cambiamento che serve alle nostre infrastrutture: quando ci sono le risorse e i progetti, vanno messi subito a terra. Invece spesso accade che si debbano aspettare 30 anni. E così rischiamo di essere meno competitivi rispetto ad altri porti».

Cosa serve al porto di Ancona?

«Più spazi per i depositi delle merci, dragaggio dei fondali per le grandi navi e la realizzazione della penisola: sono questi i tasselli fondamentali».

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