“The piano upstairs” con Ferri e Gaines
Un amore da mettere in scena

“The piano upstairs” con Ferri e Gaines Un amore da mettere in scena
di Rita Sala
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Domenica 30 Giugno 2013, 17:33 - Ultimo aggiornamento: 1 Luglio, 12:03

SPOLETO - Un amore grande, lacerato, spettacolare. quello tra Alessandra Ferri e suo marito Fabrizio, celebre fotografo, che l’etoile della danza, qui anche coreografa, ha voluto affidare alla scena con la regia gi Giorgio Ferrara, il testo di John Weidman, la preziosa interpretazione di Boyd Gaines, il contenitore (bellissimo) offerto dalle scene di Gianni Quaranta. Lo spettacolo, titolo The piano upstairs, ha aperto ieri sera al Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti di Spoleto la 56esima edizione del Festival dei Due Mondi.

Il pianoforte cala dall’alto, nero lucido, misterioso come le note di una colonna sonora creata con brani di Giovanni Allevi, John Cage, George Crumb, Morton Feldman, lo stesso Fabrizio Ferri, Philip Glass e Arvo Pärt. Si staglia per qualche momento contro una città metafisica che può appartenere all’America di Hopper e De Andrea, o anche alle trasfigurazioni architettoniche di De Chirico. Quamdo viene risucchiato dal cielo di scena, tutto comincia. Lui racconta, confessa, accusa, fa ammenda. Svela i giorni della frantumazione progressiva di un legame «perfetto» dal quale i protagonisti si estraniano poco a poco. Gaines, con aplomb da Actor’s Studio, risulta efficace, spietato, mosso com’è da una regia attentissima agli equilibri e alla fusione fredda tra danza e recitazione.

La Ferri, sorretta da braccia maschili (passa dagli aitanti ballerini che punteggiano il contesto come gli atleti dello stadio romano dei Marmi al contatto scottante con Gaines), arriva al cuore rappresentando lo svuotamento, l’allucinazione non più amorosa, la vulnerabilità di una femmina smarrita. Coinvolgente il finale, quando Lei si distende, quasi pacificata, accanto al corpo stremato del marito. The piano upstairs non va probabilmente considerato un evento di arti giustapposte, bensì il frutto di un amalgama tentato perché necessario, perché fruttuoso nella sublimazione di un lutto. Nella sua apparente luminosità, estesa anche agli attimi più aspri, dal diverbio alle percosse; nella costante euritmia tra i vari elementi propone addirittura - l’epilogo è lampante - la possibilità di una ricomposizione del rapporto originario. Qui o in qualsiasi altrove non è dato né opportuno saperlo.

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