Spoleto aspetta Paolo Bonacelli
«Ecco il mio Cardinal Martini»

Paolo Bonacelli (Archivio)
Paolo Bonacelli (Archivio)
di Marica Stocchi
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Sabato 29 Giugno 2013, 12:53 - Ultimo aggiornamento: 30 Giugno, 17:33

Tre date, dal 5 al 7 luglio, per il nuovo progetto che vede protagonista Paolo Bonacelli. Martini: il cardinale e gli altri. Il suggestivo Chiostro di San Gregorio accoglie la performance tratta dal testo di Marco Garzonio e diretta da Felice Cappa.

Come nasce lo spettacolo?

«Siamo partiti dallo studio di Garzonio che propone un ritratto del Cardinal Martini attraverso un dialogo con una donna, che potrebbe essere una giornalista, un’allieva, una compagna di lavoro. Si tratta di una messa in scena che si concentra sulla parola come principale veicolo di comunicazione. L’azione - che nella nostra società ha preso il sopravvento sulla parola – è stata ridotta al minimo. È dalla voce del Cardinal Martini, dalle sue risposte a domande argomentate e intelligenti, che il pubblico può avere un’idea di questa figura straordinaria, che personalmente sono felice di aver potuto conoscere in modo più approfondito».

Cosa l’ha colpita del Cardinale?

«Innanzitutto il suo amore sincero per il dialogo e per l’ascolto dell’altro. Poi la sua intelligenza delle cose: quella capacità di comprendere il mondo, la società in cui si muove. Una dote che ho riconosciuto in pochi. Pinter aveva questa virtù. Sapeva interpretare i fatti che gli accadevano intorno e, di conseguenza, sapeva muoversi anche nelle situazioni più complesse».

Le sue posizioni di apertura verso le trasformazioni della società lo hanno reso inviso a parte della Chiesa Romana.

«Aveva dei nemici e non poteva essere diversamente. Il suo scagliarsi contro la corruzione politica, la sensibilità che ha mostrato anche nei confronti del terrorismo, che condannava certo, ma per cui invocava delle reazioni opportune e non eccessivamente violente hanno sollevato addirittura accuse di comunismo, in quel senso particolare che viene dato a questo termine nel nostro Paese».

Lei, uomo laico, come ha affrontato questo percorso nella vita di un uomo di fede?

«L’intelligenza, la lungimiranza e l’onestà non sono prerogative degli uomini religiosi né dei laici. Alcune sue scelte, come il desiderio di tornare a Gerusalemme, dove ha potuto osservare la convivenza nel rispetto di tre grandi religioni come quella cristiana, ebrea e musulmana, mi hanno colpito profondamente. D’altra parte sono le stesse azioni che hanno sollevato polemiche nella Chiesa».

Come si trova al Festival di Spoleto?

«La mia prima apparizione al Festival dei Due Mondi risale al 1972, con La conversazione continuamente interrotta di Ennio Flaiano che interpretavo con Cochi e Renato. Nel pieno dell’era di Giancarlo Menotti, in un periodo in cui la direzione artistica era stata affidata a Romolo Valli. L’ultima volta sono stato a Spoleto due anni fa con un reading del De profundis di Oscar Wilde. Sono sempre molto lieto di partecipare ad un festival che raccoglie un pubblico appassionato e amante della cultura. La direzione di Giorgio Ferrara, poi, ha restituito forza e centralità ad una manifestazione che ha vissuto anni di isolamento. D’altra parte non è cosa facile promuovere e diffondere la cultura. Ricordo quando Ferrara dirigeva l’Istituto di cultura italiana a Parigi: riuscì a renderlo un centro vivace e propulsivo della nostra cultura in Francia. Anche questa è una grande e rara virtù».

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