L’esempio del bambino annegato con la pagella cucita nella giacca

L’esempio del bambino annegato con la pagella cucita nella giacca

di Sauro Longhi
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Lunedì 13 Marzo 2023, 01:25

L’impeto delle onde e la veemenza del vento di un mare in tempesta intimorisce chiunque, anche il più esperto dei marinari. Ma allora cosa spinge migliaia di persone ad attraversare il Mediterraneo in burrasca con barche piccole e malridotte? Sabato scorso ben 1.200 persone sono state salvate in mare e forse tante altre sono sbarcate sulle nostre coste con i propri mezzi senza chiedere soccorso. Sicuramente scappano dalla guerra e da condizioni di vita impossibili, cercano, attraversando il Mediterraneo, un paese che li possa accogliere, dove lavorare e far crescere in pace, libertà e prosperità i propri figli. Esattamente come ognuno di noi.

Di fronte alle tante tragedie recenti e passate, mi chiedo quanto forte sia la disperazione di queste persone costrette a lasciare le case dove sono nate e cresciute per un viaggio incerto e pericoloso. Sanno dei rischi eppure partono, lo fanno in pace portando con sé la famiglia perché vogliono e cercano una nuova vita. Nell’ultimo naufragio oltre 30 minori sono morti, 22 fra neonati e bambini con meno di 12 anni d’età. Non conosciamo le loro storie, la loro scuola ma certo avrebbero continuato a studiare nel paese che li avrebbe accolti.

Ricordo la storia di un altro bambino annegato in un altro terribile naufragio che aveva cucito nella giacca la propria pagella per mostrare il suo valore, il suo impegno nel paese dove avrebbe chiesto asilo. Continuo a portarlo come esempio ai miei studenti, credeva nello studio e nell’impegno e voleva dimostrarlo con i voti della propria pagella. Nelle migrazioni il mare è stato sempre attraversato anche dai tanti italiani e italiane partiti per le Americhe: l’oceano incuteva paura eppure partivano. Tutti ricordiamo la prima strofa di speranza di “Mamma mia, dammi cento lire che in America voglio andar”, pochi la quarta dove la tragedia del naufragio è cantata in tutta la sua drammaticità:”…quando furono in mezzo al mare il bastimento si sprofondò, pescatore che peschi i pesci la mia figlia vai tu a pescar?”.

Così hanno fatto i pescatori di Cutro domenica mattina 26 febbraio. Se un secolo fa eravamo noi sui piroscafi ad attraversare il mare per cercare condizioni di vista migliore, perché non riconosciamo questa aspirazione ai tanti che oggi cercano di fare la stessa cosa arrivando in Europa? Tra l’altro le economie più sviluppate come le nostre, di fronte ad un evidente calo demografico hanno bisogno di immigrati, altrimenti gran parte dei processi produttivi, industriali, dei servizi e dell’agricoltura rischiano di chiudere con conseguenze sociali drammatiche.

Ad esempio, si rischia di non avere un numero sufficiente di lavoratori capaci di sostenere, con i relativi contributi, l’attuale sistema pensionistico. Sarà un aiutarsi a vicenda.

Da analisi rigorose su dati coerenti si evidenzia già ora un saldo positivo prodotto dall’immigrazione nei nostri conti pubblici, versano più contributi di quanto percepiscono in servizi, sono mediamente più giovani e costano meno al sistema sanitario pubblico. Eppure, si continua ad aver paura, se va meglio diffidenza, da chi arriva da terre lontane portando con sé culture diverse. Paura che spesso viene artificiosamente alimentata per la costruzione di facili consensi elettorali. Certo, flussi incontrollati sono problematici anche per gli stessi immigranti che non trovano assistenza adeguata, che non possono essere inseriti in percorsi di formazione che facilitino la conoscenza della lingua del paese che li accoglie o l’apprendistato ad un mestiere.

Poi le posizioni geografiche espongono alcuni paesi come il nostro ad un carico di accoglienza sproporzionato se non condiviso con gli altri paesi dell’Europa. Perché sulle politiche economiche si è sempre trovato un accordo, mentre sull’accoglienza alle persone in cerca di speranza si scarica tutto sul paese dove sbarcano? Ancora siamo lontani dalle politiche del Regno Unito che prevedono la deportazione in Ruanda dei migranti che attraversano il mare che li separa dall’Europa. Ma attenzione, l’indifferenza a lungo può portarci a giustificare politiche simili anche in Europa, già finanziamo la Turchia perché “ospiti” milioni di profughi in fuga dalle guerre. 

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