L’inquinamento atmosferico viene spesso considerato come un problema ambientale, sociale ed economico, mentre è percepita con più difficoltà la sua pericolosità da un punto di vista tossicologico. Eppure gli allarmi non mancano, visto che in Europa si registrano ogni anno 400.000 casi di tumori e 180.000 morti premature a causa dell’inquinamento dell’aria che, secondo il rapporto Air Quality Life Index (AQLI 2023), sottrae 2,3 anni all’aspettativa di vita media globale: un impatto paragonabile a quello del fumo, superiore di 3 volte all’uso di alcolici e di 5 volte rispetto agli incidenti automobilistici. Esistono però differenze rilevanti. In Asia, l’inquinamento da particolato è aumentato del 10% dal 2013 e secondo le previsioni dell’AQLI i cittadini di Bangladesh, India, Nepal e Pakistan perderanno in media da 5 a 7 anni di aspettativa di vita. In controtendenza è la situazione della Cina che, a partire dal 2014 ha ridotto l’inquinamento dell’aria del 42% grazie ad una serie di politiche e strategie mirate; anche se i livelli di inquinamento rimangono sei volte superiori alle linee guida dell’OMS, un cittadino cinese medio ha recuperato 2,2 anni di aspettativa di vita, rispetto ai 4.7 anni che perdeva nel 2013. La pessima qualità dell’aria in Asia riceve un’attenzione mediatica elevata: lo stesso non si può dire per paesi come Repubblica Democratica del Congo, Ruanda, Burundi e Repubblica del Congo che sono oggi tra i dieci Stati più inquinati al mondo e dove l’inquinamento dell’aria è una minaccia per la salute umana al pari di AIDS e malaria. Nonostante ciò, i fondi stanziati per la lotta contro l’inquinamento atmosferico rappresentano solo una piccola parte di quelli destinati, ad esempio, alle malattie infettive. Il Fondo Globale eroga ogni anno 4 miliardi di dollari per l’AIDS, la malaria e la tubercolosi, ma non esistono misure analoghe per migliorare la qualità dell’aria in Africa e l’intero continente riceve meno di 300.000 dollari da fondi filantropici per questa emergenza sanitaria ed ambientale. Sebbene Asia e Africa contribuiscano al 93% degli anni di vita persi a causa dell’inquinamento, mancano le infrastrutture e le politiche necessarie per un’inversione di tendenza. Solo il 6,8% dei paesi asiatici fornisce dati sulla qualità dell’aria e solo il 36% dispone di standard di qualità, percentuali che si abbassano addirittura al 6,8% e al 4,9% nei paesi africani. Fino agli anni ’70, anche Stati Uniti ed Europa presentavano molte aree con livelli di qualità dell’aria paragonabili a quelli che oggi ritroviamo nei paesi più inquinati. Le principali spinte al cambiamento sono arrivate grazie alla diffusione dei dati di monitoraggio, che oggi sono facilmente accessibili, e agli studi scientifici che hanno dimostrato l’impatto dell’aria sulla salute umana: l’introduzione di normative specifiche come il Clean Air Act ha ridotto del 65% l’inquinamento atmosferico negli Stati Uniti dalla sua entrata in vigore nel 1975. La situazione in Europa non è tranquillizzante e l’Italia conta il più alto numero di decessi da inquinamento ambientale dopo Francia e Germania.
*Direttore Dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente Università Politecnica delle Marche