La vodka esibita in classe, il rito del disagio giovanile

La vodka esibita in classe, il rito del disagio giovanile

di Rossano Buccioni
4 Minuti di Lettura
Martedì 8 Novembre 2022, 05:50

Forte preoccupazione ha suscitato la mescita di super-alcolici postata in rete dagli stessi protagonisti, tutti giovani studenti del Liceo Rinaldini di Ancona. Si tratta di immagini in cui i giovani si fanno beffe dell’incapacità di anticipare qualsiasi conseguenza positiva dal raccordo del proprio sistema di aspettative con quello adulto, diventando maestri di imboscate simboliche, intuendo alla perfezione i tempi di reazione, la frustrazione e le tardive strategie di sostegno del proprio io degli adulti significativi che hanno incontrato, spesso nella sinergia di due debolezze, scuola e famiglia.

L’obiettivo di quei giovani era la destabilizzazione del collante simbolico che lega la loro vita ad una trama di significato statuita dal mondo sociale che li chiama alla formazione ed all’assunzione di responsabilità, dentro la dominante logica dei diritti e la lenta emorragia semantica dei doveri. La vertigine del positivo (diritto per tutti senza fare nulla per guadagnarselo), azzera eventuali contrappesi esperienziali e nella immaginazione sociale dei giovani tutto diventa in transizione (sessualità, auto-percezione, modalità di azione ecc.), ma una transizione non destinata a concludersi in una statuizione di significato durevole e dunque sanzionabile socialmente, bensì costantemente aperta a pretese personalizzanti, capaci di ricomporre in una biografia inconsistente gli aspetti banalmente conformizzanti del condizionamento sociale.

Figli di un trend epocale – la velocizzazione – che ritma il tempo sul possibile altrimenti, rendendo difficile stabilire l’effetto deterrente dell’errore o maturativo della vita buona, sembrano risucchiati da un equivalente comunicativo che non si raccorda né a valori, né a modelli umani, perchè sposta sempre altrove gli ambiti temporaneamente occupati da una qualche supposizione d’esistenza. Questi giovani odiano le distinzioni forti, mantenendosi aperti a qualsiasi cosa sia nuova e non marcata, eccezionalmente dotati nel condurre l’adulto al punto critico, quello della coincidenza del caso con il senso e della frammentazione estrema con un orizzonte di riferimento. Quello del Rinaldini è un “Potlach” della società tardo-moderna, un falò irridente delle interdizioni che dovrebbero plasmare, dell’alfabeto adulto che dovrebbe nutrire attese di comportamento, delle deterrenze che dovrebbero arricchire la propensione pro-sociale; il falò di un mondo di soli si (sufficienze a scuola, genuflessione genitoriale, abuso nientificante del tempo quotidiano, ecc.), cioè di soli cedimenti senza contropartita da parte degli adulti incontrati, amministratori distratti di una autofagia sociale che investe pienamente l’universo giovanile (dopo aver già divorato la terza e quarta età).

“Guardate cosa ci facciamo delle ricompense simboliche che ci offrite”, avranno pensato i giovani ritualizzanti del Liceo anconetano, togliendo all’alcol la ragione relazionale della mescita amicale e del valore empatizzante che incarna, per ridurre il rituale del bere ad insensata resilienza, puro rifiuto, puro effetto-stordimento nella più bieca logica additiva, intenti solo a dimostrare il male che un contesto sociale anti-umano è capace di riservare a chi vi si deve comunque conformare - non avendone un altro di riferimento - in una commistione allucinata tra ingenuità e delirio di onnipotenza destinato a deragliare nel disagio anonimo.

Purtroppo la scorrettezza che costruivano altro non è che una perfetta dimostrazione di allineamento secondo i canoni del politically uncorrect che incarna la migliore forma di schiavitù, cioè quella che si crede esattamente il contrario. Colpisce la lontananza dalla parola adulta, la latitanza di un market space socio-pedagogico dentro il quale continuare a tessere un dialogo educativo; colpisce la perfetta normopatia deviante (ragazzi bravi a scuola, magari educati, ma non si sa in effetti a cosa …), strepitoso esempio di socializzazione interminabile di persone giovani pronte ad immolarsi per un inconscio sociale tecno-comunicativo, corrodendo lentamente alle radici tutto il resto, svuotando il percorso formativo di ogni ipotesi costituente (per la personalità in formazione) e riempiendolo di forme destituenti (dall’alternanza scuola lavoro, ai risibili procedimenti disciplinari che comminano pene come 5 gg di sospensione , senza mai indicare ai rei il modello umano di riferimento da cui si sono pericolosamente allontanati).

Già, la scuola in forza di quale modello umano cerca di formare le giovani generazioni? Le scuole come nuovi palcoscenici dell’innominabile attuale, dentro una minaccia atomica, una crisi ambientale senza precedenti, in un mondo sfuggente come mai prima che sembra denigrare il suo passato e flirtare esageratamente con l’iperbole dell’auto-annientamento. Non ci inquieta tanto la dimensione ansiotica dell’emergenza in cui siamo immersi, ma l’indifferenza per le lezioni della storia che, isolandoci in una dimensione spazio-temporale assai ristretta, ci rende impossibile l’attesa di una diversione, una prospettiva di salvazione, una traccia di redenzione.

Questa è l’età di un nulla che uccide, di un nichilismo cingolato che lussureggia ovunque: nei dibattiti televisivi, nelle scuole o nelle macchiettistiche interpretazione politico-regressive della realtà. Quella attuale è una incapacità di nominare il negativo che domina grazie alla nostra impossibilità di vedere che siamo ciechi. L’ansia oggi non manca, ma non prevale perché a dominare è una diffusa inconsistenza assassina (R. Calasso). Il tragicomico tripudio nei bagni del liceo di Ancona è la ratifica da parte dei giovani dell’obbligo di socializzarsi ai dettami di un’età che ormai percepiscono scarsamente - o per nulla - consistente.

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