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Competenze digitali e cognitive, la formazione deve aggiornarsi

di Marco Cucculelli
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Lunedì 22 Gennaio 2024, 04:00

Con la recente adozione del Regolamento sull’intelligenza Artificiale, l’Europa ha mosso un passo significativo nell’uso delle tecnologie digitali nell’economia e nella società. Tuttavia, nonostante l’introduzione di chiare regole di trasparenza nella gestione dell’intelligenza artificiale (IA) e di ampie tutele a favore dei cittadini, l’approccio al tema appare ancora prevalentemente difensivo. Mancano le azioni finalizzate a rafforzare il capitale umano e rendere scalabili le soluzioni innovative per l’IA sostenendo imprese e startup che sviluppano queste tecnologie. In aggiunta, la sovranità digitale che il Regolamento aspira ad attivare è ostacolata da obiettive condizioni di mercato, che mettono l’Europa in posizione subalterna sia sul fronte dell’offerta di tecnologia, sia su quello del capitale umano. Questi due ambiti sono critici e da osservare con attenzione, specie nel nostro paese.

Sul primo ambito, nonostante la Commissione Europea abbia posto come obiettivo quello di raddoppiare il numero delle imprese cosiddette “unicorno” (le start-up che raggiungono il successo sul mercato globale con una capitalizzazione di mercato di oltre 1 miliardo di dollari), la posizione dell’Unione Europea continua ad essere assolutamente marginale. All’inizio del 2023 operavano nel mondo 2.609 unicorni, di cui solo 249 con sede in uno degli Stati Membri. La loro distribuzione geografica è tutt’altro che omogenea all’interno dell’Unione Europea, con Germania (61), Svezia (37), Francia (36), e Paesi Bassi (29) che rappresentano i principali Paesi in termini di diffusione. Solo cinque, invece, gli unicorni presenti in Italia (solo due secondo CBInsights), un valore pari a quello dell’Austria e inferiore a Paesi con un tessuto produttivo dimensionalmente più piccolo, quali Belgio (7) e Finlandia (8). Sotto il profilo settoriale, inoltre, i settori con il maggior numero di unicorni sono quelli del software, della fintech e della health tech, mentre poco spazio hanno le filiere di piccole imprese che caratterizzano il tessuto produttivo nazionale. Ancora più evidente, infine, il gap sulle altre tecnologie chiave per l’IA, quali i semiconduttori e le infrastrutture cloud pubbliche, dominate da operatori esteri, con le prime quattro imprese globali (AWS, Microsoft, Google e Alibaba) che conservano una quota aggregata dei ricavi dell’80%. Sul secondo ambito, quello relativo al capitale umano, lo scenario è appena meno preoccupante, ma solo in apparenza, perché l’adeguamento dell’offerta di capitale umano alle tecnologie IA sembra andare molto a rilento nel nostro paese.

Il World Economic Forum ha stimato una crescita media del 30% entro il 2027 dell’occupazione di analisti e specialisti dei big data. Allo stesso tempo, la formazione dei lavoratori all'utilizzo dell'IA e dei big data rappresenta la priorità nei prossimi cinque anni per il 42% delle aziende intervistate, appena dopo il pensiero analitico e il pensiero creativo. In questo scenario, l’Italia mostra rigidità evidenti.

A fronte di una quota elevata – e crescente – di individui che utilizzano Internet (83%), solo la metà si caratterizza per il possesso di competenze digitali almeno di base o superiori, rispetto ad un obiettivo comunitario dell’80%. Inoltre, il miglioramento dell’indicatore DESI lato imprese appare in larga parte legato alla diffusione della fatturazione elettronica, adottata dal 95% delle imprese italiane in ragione dell’obbligo introdotto nel 2019. Minori, se non del tutto trascurabili, i miglioramenti legati alle scelte volontarie delle imprese. Se sul fronte dell’offerta di tecnologia la partita appare irrimediabilmente perduta, l’adeguamento del capitale umano sembra invece un obiettivo ancora raggiungibile.

Tuttavia, esso richiede una significativa trasformazione del sistema dell’istruzione secondaria e terziaria, che non dovrebbe limitarsi a fornire una conoscenza elementare dell’IA, ma mirare a generare competenze digitali avanzate, nonché competenze cognitive complementari e trasversali che possano consentire una più efficace interazione con l’IA. In questa prospettiva, occorre imprimere un deciso cambio di rotta alla formazione superiore e universitaria, non semplicemente rafforzandola, ma modificandone le modalità di erogazione, in sinergia con i tradizionali catalizzatori della formazione digitale quali le startup innovative e i corsi di laurea in data-science. Questo nella convinzione che le competenze digitali e cognitive avanzate non debbano rimanere delle semplici poste inserite nel curriculum per trovare un lavoro, ma entrare a pieno titolo nei meccanismi di indirizzo e direzione dell’economia e della società nell’immediato futuro. 

*Professore ordinario
di Economia Applicata
presso l’Università Politecnica
delle Marche 
Facoltà di Economia “G. Fuà”

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