Saranno almeno due in Italia nel giro di pochissimi anni le fabbriche da cui usciranno batterie per veicoli elettrici.
Sono i primi anelli della futura filiera dell’auto green tricolore. Un settore non solo all’avanguardia dal punto di vista tecnologico ma indispensabile per rimpiazzare il comparto della componentistica delle quattroruote tradizionale destinato al declino, insieme a tutti i suoi posti di lavoro, con la messa al bando dei motori a benzina e diesel nel prossimo decennio. La mappa delle gigafactory della Penisola per ora pende verso il Sud. Gli impianti già in cantiere sorgeranno infatti a Termoli, in Molise, dove la Fiat oggi Stellantis dal 1972 produce motori, cambi e trasmissioni per le sue macchine, e a Teverola, in Campania, nei capannoni dove una volta si fabbricavano le lavatrici Indesit.
LA CATENA
Il cuore della tecnologia delle batterie per il momento comunque resta in Asia, soprattutto in Cina, che ha in mano la catena di questa industria. Dai minerali al prodotto che viene caricato sulle auto. Se si esclude l’estrazione dei metalli che servono per costruire le batterie, e che ovviamente si può fare solo dove ci sono le miniere, ci sono altre parti di questa produzione, come la raffinazione delle materie prime e la costruzione delle celle, che invece potrebbero essere sviluppati nella Penisola. «È necessario portare in Italia anche altri pezzi della filiera non solo gli assemblatori», spiega Gianmarco Giorda, direttore generale dell’Anfia, l’associazione dei costruttori di auto italiani. «Visto che nei prossimi anni ci sarà un consumo enorme dobbiamo occuparci di questo aspetto o rischiamo di rimanere dipendenti». C’è poi il problema della riconversione di tutta la componentistica dell’auto con il motore a scoppio. Chi costruisce serbatoio o marmitte inevitabilmente avrà sempre meno commesse con la transizione all’elettrico. Un processo che ora la guerra in Ucraina potrebbe anche accelerare. Per questo l’Anfia chiede al governo di fare la sua parte e di finanziare progetti di riconversione industriale delle aziende. Una strategia su cui anche il sindacato concorda. «Il motore elettrico assorbe meno manodopera», sottolinea Ferdinando Uliano, segretario nazionale della Fim-Cisl. «Serve un fondo per attivare un processo di reindustrializzazione della componentistica. Vanno bene le batterie ma bisogna guardare anche alle altre componenti del futuro: la connettitivà, la guida autonoma e la digitalizzazione». Per Iuliano un pezzo devono farlo i privati e un pezzo lo Stato. Lo schema, insiste, deve essere quello usato per Termoli. «Bisogna accompagnare il processo altrimenti le aziende rischiano di chiudere». La Automotive Cells Company (Acc), società che ha come azionisti Stellantis, Mercedes e Totalenergis, intende trasformare lo stabilimento della casa automobilistica italofrancese in provincia di Campobasso in un nuovo impianto dedicato alla produzione di batterie. La spesa prevista è di quasi 2 miliardi e mezzo, con un intervento dello Stato di oltre 360 milioni fra contratti di sviluppo e agevolazioni fiscali.
I FONDI
Oltre a quelli di Termoli e Teverola in Italia potrebbe nascere anche una terza gigafactory. A Scarmagno, poco lontano da Torino, negli stessi spazi dove c’era una volta l’Olivetti, lo svedese Lars Carlstrom con la sua Italvolt sogna infatti di far nascere un’altra fabbrica di batterie. L’imprenditore ha già siglato un accordo con la società immobiliare Prelios per l’acquisto di una superficie complessiva di un milione di metri quadrati su cui costruire un impianto con una capacità di 45 Gw. L’obiettivo è avviare la produzione nel 2024 e creare 3mila posti di lavoro. L’investimento previsto è di 3,4 miliardi ma i soldi per ora restano nel cassetto. «Il nostro piano di finanziamento prevede una serie di fonti, tra cui fondi pubblici, prestiti bancari, fondi di investimento, private equity, venture capital», dice Carlstrom senza però fare nomi. A breve, assicura, è attesa la firma di un protocollo di intesa con Regione Piemonte, Città Metropolitana di Torino e i comuni di Scarmagno, Romano Canavese e Ivrea. Si punta a finalizzare la struttura ingegneristica e la versione definitiva del progetto entro giugno 2022, in modo da ricevere i permessi di costruzione all’inizio del 2023. «L’interesse della comunità finanziaria per progetti di mobilità elettrica e di green industrialization è particolarmente forte e sono numerose le risorse finanziarie disponibili», aggiunge citando le partnership siglate con Abb (elettrificazione), Tüv Süd (certificazione) e American Manganese (riciclo delle batterie). Il mercato è promettente – in Italia si prevede di arrivare a vendere quasi 630 mila auto elettriche e ibride nel 2030 dalle 209 mila di quest’anno – e la speranza di Carlstrom è di poter contare anche sull’arrivo di un po’ di soldi pubblici. Ma resta da vedere se gli investitori ci crederanno.
Profilo Abbonamenti Interessi e notifiche Utilità Contattaci
Logout