Alessia Pifferi: «Le avevo lasciato due biberon di latte, pensavo bastassero. Mia figlia non è mai stata un peso, mi manca tanto»

La mamma 37enne in aula: "Ho provato a rianimare Diana, non si muoveva e piansi"

Alessia Pifferi: «Accudivo Diana come una mamma, le avevo lasciato due biberon di latte. Pensavo bastassero»
Alessia Pifferi: «Accudivo Diana come una mamma, le avevo lasciato due biberon di latte. Pensavo bastassero»
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Martedì 19 Settembre 2023, 14:03

Alessia Pifferi, la donna di 37 anni accusata di aver ucciso la figlia Diana, 18 mesi, lasciandola morire di stenti è tornata in aula a Milano a raccontare la sua versione dei fatti che hanno portato al tragico epilogo della morte, il 20 luglio 2022. Con un tono monocorde, la Pifferi parte dal principio: la nascita di quella bambina non prevista («non sapevo di essere incinta»), le difficoltà nel crescerla da ragazza madre, le volte che l'aveva già lasciata sola in precedenza («le lasciavo due bottiglie di latte, pensavo bastasse») e il ruolo dell'ex compagno («non tornai da Diana per paura della sua reazione»). 

Alessia Pifferi: «La accudivo come una mamma»

«La accudivo come una mamma accudisce un figlio: le davo da mangiare, la cambiavo, se stava male contattavo l'ospedale, la crescevo, le davo da mangiare e bere per sopravvivere». È uno dei passaggi dell'interrogatorio che vede imputata Alessia Pifferi con l'accusa di omicidio volontario pluriaggravato. «Mi manca mia figlia, mi sento spenta, mi sento buia. Ero orgogliosa di mia figlia, non è mai stata un peso per me», ha detto ancora la donna. «Vivo alla giornata - ha risposto alle domande del suo difensore Alessia Pontenani -, vivo malissimo. La mia bambina mi manca tantissimo. Il carcere non è di certo un bel posto. Se tornassi indietro non lo rifarei di sicuro».

La nascita imprevista

Nella sua testimonianza racconta la nascita della piccola, nel bagno dell'abitazione dell'allora compagno conosciuto su un sito di incontri. «Diana nasce all'improvviso il 29 gennaio 2021, non sapevo di essere incinta, è nata prematura. È stata in incubatrice per un mese e mezzo all'ospedale di Bergamo, non è stato facile essere ragazza madre, ma non ho avuto problemi ad accettarla» racconta. «Anche a mia madre ho raccontato di essere incinta e che non sapevo chi fosse il padre, ancora oggi non so chi sia» dice la 37enne che ricostruisce i mesi della figlia e il su e giù dalla provincia di Bergamo - dove vive l'ex compagno per il quale «la bambina era un intralcio, diceva che le voleva bene ma non era vero» - all'abitazione di via Carlo Parea a Milano dove Diana muore il 20 luglio del 2022.

Due biberon di latte e due d'acqua

La piccola Diana è morta dopo essere stata lasciata sola in casa per sei giorni, ma non era la prima volta che veniva abbandonata dalla mamma. «Sì, l'ho lasciata sola. Pochissime volte, non ricordo quante. Andavo via e di solito l'indomani tornavo subito a casa. Le lasciavo due biberon di latte, due bottigliette di acqua e una di 'teuccio'. Ero preoccupata, avevo paura di molte cose, che riuscisse a bere il latte. Pensavo bastasse», ha detto Alessia Pifferi davanti alla Corte d'Assise di Milano. Al pm Francesco De Tommasi che le chiede se avesse inteso cosa poteva succedere se Diana fosse rimasta senza alimentazione, l'imputata replica: «Non ho idea di cosa potesse succedere se non mangiava, ma certo non una cosa così. In carcere le psicologhe mi hanno detto che un biberon non bastava per sopravvivere». «Non pensavo potesse succedere una cosa del genere, anche perché io non ho mai pensato di far fuori mia figlia», ha continuato.

La 37enne ha spiegato di averla già lasciata sola altre volte prima di quella fatale. «Quando rientravo di solito era tranquilla che giocava con i suoi giochini nel lettino.

La lavavo, la cambiavo e le davo la pappa». Come ha spiegato Pifferi, in quelle occasioni andava in provincia di Bergamo dal compagno, con il quale aveva da tempo una relazione «tira e molla». Quando le è stato domandato come si comportasse solitamente con Diana, Pifferi ha risposto «la accudivo come una mamma accudisce normalmente un figlio. Le davo da mangiare, la lavavo e la cambiavo. Cose normali. Se stava male contattavo l'ospedale. La crescevo».

Il giorno della morte

«Quando sono rientrata quel 20 luglio del 2022 ho trovato mia figlia nel lettino, sono andata subito da mia figlia, non ricordo se la porta era aperta o chiusa. L'ho accarezzata, ma non si muoveva: ho capito che c'era qualcosa che non andava, non era in piedi come le altre volte»: è il passaggio più doloroso dell'interrogatorio alla mamma di Diana. «Non era fredda la bambina, ho tentato di rianimarla, l'ho presa in braccio e le ho fatto il massaggio cardiaco, in bagno ho provato a bagnarle le manine, i piedini e la testa per vedere se si riprendeva» aggiunge la donna, senza emozionarsi nel ricordare quei momenti drammatici. La 37enne racconta la corsa verso una vicina di casa per chiedere aiuto e la bugia «le dissi che avevo lasciato Diana a una babysitter perché ero sotto choc. Tremai, sudai, mi misi a piangere, chiamai il 118», poi la richiesta al compagno - con cui aveva trascorso i giorni in cui la piccola è rimasta sola - di raggiungerla ma «lui non venne. Piangevo, tremavo, ero sotto choc, capii che non c'era più nulla da fare quando vidi i medici» conclude.

 

Il compagno

La 37enne ha raccontato che quella settimana si trovava in provincia di Bergamo con il suo compagno. Quando lui, due giorni prima del ritrovamento del corpo della bimba, era dovuto andare a Milano per lavoro, Pifferi lo aveva accompagnato, ma senza passare dalla casa di via Parea in cui la piccola Diana era da sola. «Io mi preoccupavo di mia figlia - ha detto, - ma purtroppo avevo paura delle reazioni del mio compagno. Avevo paura di parlare con lui, era parecchio aggressivo nel verbale. Una volta ha anche cercato di sbattermi contro a un vetro in una discussione. Mi preoccupavo per mia figlia ma al tempo stesso avevo paura di chiedergli di portarmi a casa». In altri passaggi del suo esame in aula, la donna ha spiegato più volte che per il compagno la bambina «era un intralcio». È ancora: «Diceva che le voleva bene, ma non era vero. Mi ha usata e basta».

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