La professoressa Benedetta Trevisani: «Libri, cocomeri e gelati i compagni dell’estate»

La professoressa Benedetta Trevisani: «Libri, cocomeri e gelati i compagni dell’estate»
La professoressa Benedetta Trevisani: «Libri, cocomeri e gelati i compagni dell’estate»
di Luigina Pezzoli
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Domenica 7 Aprile 2024, 04:00 - Ultimo aggiornamento: 10:09

Il mare ha da sempre caratterizzato la vita della professoressa Benedetta Trevisani, figlia e nipote di marinai. Per quindici anni presidente del Circolo dei Sambenedettesi, e oggi presidente onorario, Benedetta ha insegnato materie letterarie, a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, a generazioni di studenti, prima al liceo classico di Fermo poi al liceo scientifico di San Benedetto. «Ero molto giovane quando ho iniziato a insegnare. Erano anni in cui gli studenti risentivano ancora del clima del periodo appena trascorso, caratterizzato dalle contestazioni studentesche. Tuttavia, anche grazie alla loro disponibilità, ho potuto stabilire un rapporto tra studente e docente improntato al rispetto reciproco».

I cocomeri

Nata in una casa davanti all’ex lavatoio al Paese alto, qualche anno dopo la sua famiglia si trasferì in piazza Garibaldi. «I miei ricordi più belli sono legati al grande banco del cocomeraio che in estate si posizionava, allora come oggi, davanti alla tabaccheria Braccetti, e all’arrivo di un piccolo circo che si sistemava in un angolo della piazza, richiamando tanta gente.

Le nostre giornate, in estate, passavano nell’attesa del gelataio che con il suo “trabiccolo” a forma di prua dispensava coni a pagamento». Suo padre Giuseppe, marinaio, si fece costruire una casa dietro il Ballarin, così con la sua famiglia traslocò nella periferia nord del paese. «Il mare, la campagna e la ferrovia sono diventati gli elementi del nostro paesaggio quotidiano: qui abbiamo giocato liberamente e fatto esperienze non sempre tranquille. Ricordo l’attraversamento senza controlli della ferrovia, dove a volte ci divertivamo a mettere sui binari i tappi delle bibite per farli schiacciare dai treni, oppure le insidie del mare mosso affrontato senza la presenza degli adulti. Esperienze che comunque ci hanno temprato. Per raggiungere la scuola di viale Moretti facevamo ogni giorno chilometri di strada tra andata e ritorno, soli o accompagnati da qualche parente libero da impegni». L’approdo al liceo classico e poi all’università di Bologna per la laurea in Lettere classiche per Benedetta fu del tutto casuale. «Mia madre Rina, donna del popolo, al termine delle elementari voleva iscrivermi alla scuola di avviamento professionale, ma mio padre non era della stessa idea. Dato che non avevo sostenuto l’esame di ammissione alle medie, allora obbligatorio, chiesi a mia madre di trovarmi una maestra che mi preparasse per un esame da privatista in autunno, prima dell’inizio del nuovo anno scolastico».

Libri d’estate

Quell’anno, per la professoressa Trevisani, fu un’estate di studio intenso «la mia maestra era molto rigorosa perché voleva fare bella figura attraverso me, così mi sottopose a uno studio forzato. Terminato il triennio delle medie, mia madre, a quel punto, visto che avevo studiato un po’ di latino, voleva mandarmi alle magistrali dalle Battistine, ma anche stavolta mio padre, tornato da un viaggio per mare, si oppose alla scuola gestita dalle suore. Si mise alla ricerca di informazioni, venne a conoscenza che a San Benedetto si istituiva quell’anno il liceo classico».

Il liceo

Era il 1961 e Benedetta Trevisani iniziò a frequentare il nascente liceo classico. «Nutrivo una certa preoccupazione perché quella, per quanto ne sapevo, era la scuola dei ricchi e dei geni. Dopodiché il percorso a seguire era ormai segnato. Basti pensare che la mia vocazione alla scrittura potrebbe aver avuto un preannuncio in quinta ginnasiale, quando fui mandata insieme ad altri studenti del liceo ad Ascoli per un concorso a tema e lo vinsi, ricevendo poi nei tre anni successivi una borsa di studio abbastanza importante. Sono dunque diventata un’insegnante. La mia professione ha preso avvio in Pakistan nel villaggio realizzato per le famiglie dei lavoratori impegnati nella costruzione della gigantesca diga del Tarbela, nei pressi di Rawalpindi, dove mio marito Marco lavorava nel settore amministrativo. Lì nel 1971 è nato nostro figlio Michele» conclude la professoressa Trevisani.

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