Il vino cotto e il finocchietto, delizie gourmet
delle Marche: i consigli del Corriere Adriatico
per una fine estate tutta da assaporare

Mercoledì 30 Agosto 2023, 08:50 | 3 Minuti di Lettura

Dalle cantine al mondo: il vino cotto ambasciatore del gusto

LORO PICENO - Dolce e forte, odore intenso ma gradevole, dal colore variabile tra il rosso e il rosso ambrato: il vino cotto è il prodotto tradizionale di Loro Piceno, che lo considera il suo “ambasciatore”. Per valorizzarlo è di nuovo tempo del Vino Cotto Festival, quest’anno alla sua 51esima edizione.

Le origini

Le origini del “Vì cotto”, nome dialettale di questo prodotto, sono molto antiche, e se si considera Loro Piceno, anche incerte nel tempo. «Qui le radici del vino cotto – spiega il sindaco del borgo del Maceratese, Robertino Paoloni – sono molto antiche, si produce da sempre, in aziende o nelle case». Talmente diffusa la sua produzione che, aggiunge, «nelle case storiche in centro ancora ci sono le cantine dove si faceva il vino cotto. Ed è considerato tra gli alimenti, perché si bolle, quindi viene come pastorizzato». Da sempre, fin dall’antica Roma, tanto che Lucio Giunio Moderato Columella, scrittore di agricoltura dell’epoca, scriveva: «Fino a diminuzione di un terzo si cuocia del mosto di sapore dolcissimo… Appena raffreddato si trasferisce nelle botti e si riposa per usarne». Si faceva anche all’epoca per trasportarlo e far durare il vino, senza che questo inacidisse. Si vendemmia, si pressano e si pigiano le uve raccolte, ottenendo il mosto, che viene poi versato in caldaie di rame dove deve bollire a lungo, dalle 10 alle 12 ore. La schiuma che si forma si toglie, il volume del mosto si riduce fino alla metà, e si versa in botti di legno, a invecchiare fino ad almeno cinque anni. O anche più. «Molti – racconta il sindaco Paoloni – sono quelli che ancora lo fanno in casa, producendolo per uso personale: ogni anno viene rimboccato, e ha caratteristiche particolari, sono vini a volte dolci o aspri».

La tradizione

Anticamente le famiglie loresi, ogni volta che nasceva un bimbo, facevano una botte di vino cotto, che poi tramandavano fino a darla in dote. Veniva anche usato come disinfettante, si dice che per irrobustire i bimbi, le braccia e le gambe venivano bagnate con il vino cotto. Si beveva come vino da pasto, ma ormai gli usi l’hanno trasformato in vino da dessert. Accompagnato a biscotti secchi o ciambellone, è anche ingrediente per dolci e altri cibi. «Due anni fa – aggiunge il sindaco – abbiamo fatto, nel festival, una degustazione di vino cotto insieme al formaggio erborinato, e tra tutti gli eventi in programma, è previsto, domenica mattina, alle 11, un convegno all’orto dei Pensieri». A cura dell’Assosommelier, il confronto verterà sul vino cotto, sul perché non è considerato vino, si parlerà di enogastronomia e di caratteristiche sensoriali. «Caratteristiche – aggiunge Paoloni – dei nostri cinque produttori, che sono abilitati alla vendita, sono figli e nipoti di quelli che lo facevano prima, e esportano: Caonà, Il Lorese, la Premiata Cantina Bernabei, Tiberi, Il Leprotto. Dopo il confronto un pranzo (prenotazioni 3351227912) al ristorante al Girarrosto, dall’antipasto al dolce, tutto con il vino cotto». Ci saranno stand gastronomici, iniziative per tutti i gusti, la possibilità di visitare su prenotazioni i musei, soprattutto quello del vino cotto e delle etichette del vino cotto. Il programma comprende anche iniziative culturali, tra cui i “Racconti” di Stefano Massini (ore 21,30, domenica, orto dei Pensatori).

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