Tra certezza e nostalgia, la cabina telefonica resta in 2mila esemplari

L’Agcom ha comunicato a Tim che non è più obbligata a garantire le “postazioni telefoniche pubbliche”. Resteranno in ospedali, carceri, caserme e forse rifugi di montagna

Una vecchia cabina telefonica
Una vecchia cabina telefonica
di Francesco G. Gioffredi
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Mercoledì 21 Giugno 2023, 14:32 - Ultimo aggiornamento: 22 Giugno, 16:57

È recente l’ultimo mesto rintocco di questa storia così gloriosa: con una delibera pubblicata a fine maggio, l’Agcom ha spiegato a Tim che non è più obbligata a garantire le “postazioni telefoniche pubbliche”.

Tradotto: ora sarà possibile smantellare le ultime, eroiche cabine, cattedrali urbane di un tempo che non c’è più. È la cronaca di una fine naturale e annunciata, ma è pure l’occasione per un inno a tante cose insieme raccontate dal telefono pubblico a gettoni, monete e scheda magnetica: prezioso, prima dello smartphone e però meno invasivo e nevrotico; onnipresente, ma con discrezione; solido e indistruttibile, e tuttavia con quel design minimale che sa di certezze e nostalgia. Zincato in grigio o verde scuro, poi arancione e infine in acciaio satinato, dapprima col disco e poi con la tastiera. Sono stati oltre 150mila, ne rimangono poco più di 16mila, sopravviveranno solo i circa 2mila in ospedali, carceri, caserme e (forse) rifugi di montagna. Ma nella memoria collettiva, la più tenera o la più frenetica, che fosse per tubare con la fidanzatina o per un’urgenza di lavoro, la cabina telefonica resterà per sempre. Le cabine spuntarono in Italia tra gli anni ‘50 e ‘60, col solito refrain della genialità minimale che rivoluziona la vita: un primordiale parallelepipedo della Stet a gettoni universali, per chiamate solo urbane con procedura un po’ macchinosa. Sarà la neonata Sip a far decollare il format nel 1964: nacque il modello U+I (urbane e interurbane), dotato di una raccoglitrice a gettoni che permetteva l’inserimento contestuale di più pezzi. Nei primi anni ‘80 sarà sostituito dal G+M, cioè gettoni e monete, e poi tastiera digitale e tre fessure. Il telefono pubblico è una di quelle intuizioni che plasma le abitudini: un tempo era il caso di andare in giro con le tasche tintinnanti di gettoni e monete. Poi, sul finire degli anni ‘80 nacque il Rotor, squadrato e di colore arancione, affiancato da un modulo per alloggiare la più pratica scheda magnetica. Oggetto di culto e collezionismo. Il gettone, nel frattempo attestato al valore di 200 lire, uscì sempre più di scena. E l’ultimo telefono pubblico risale al 2002: il Digito, forme arrotondate, satinato, in grado pure di ricevere telefonate e munito di altri servizi “laterali”. Un romantico canto del cigno. Ma se siete degli inguaribili amanti del vintage, sul sito della Tim c’è un motore di ricerca per trovare la cabina più vicina a voi.

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