Aristide & figli: un'impresa globale
con le radici piantate nelle Marche

Aristide & figli: un'impresa globale con le radici piantate nelle Marche
di Maria Cristina Benedetti
6 Minuti di Lettura
Domenica 19 Giugno 2016, 05:38 - Ultimo aggiornamento: 20 Giugno, 20:15

FABRIANO - Un padre fondatore, illuminista e mai padrone; tre figli maschi che fanno dell'intuizione modello; e una terra che è la più riuscita delle prove d'autore. L’evoluzione delle Marche e la saga dei Merloni sono due linee che s’intersecano, due piani che s’incontrano fino a confondersi. All’origine di tutto sono bascule, bombole per il gas, caldaie; ma soprattutto è la prepotenza d’una rivoluzione: lo sviluppo senza fratture, il mantra del capostipite Aristide classe 1897.



È nel solco della dottrina democristiana che s’insinua la responsabilità sociale d’impresa, fondamento di quell’impero dell’elettrodomestico che si è imposto al mondo. «In ogni iniziativa industriale - era la convinzione di quel giovane fabrianese - non c’è valore del successo economico se non c'è anche l'impegno nel progresso sociale». L’innovazione ai tempi del dopoguerra ha l’epicentro nella periferia più estrema di un’Italia che tenta la ripartenza: Fabriano. 

 

La dinastia del bianco 
Una famiglia che vale una lezione d’economia col destino inciso in un nome, Aristide: è da qui, e soprattutto da lui, che l’azienda s’ispira per dar vita al suo storico e più famoso marchio, Ariston. La dinastia dei “metalmezzadri”, come l’economista Giorgio Fuà chiamava gli artigiani e i piccoli industriali nati dall’agricoltura che hanno trasformato la costa Adriatica in una fabbrica diffusa, passa per quattro coordinate. Imprescindibili. La formazione, la flessibilità, la responsabilità sociale di un’impresa, la diversificazione sono stati gli elementi chiave d’una biografia, quella di Aristide Merloni, che si confondeva con la storia industriale italiana. Il primo mattone lo posò su un banco di scuola: l’Istituto tecnico industriale Montani di Fermo. La scuola come motore dell’innovazione, e lui figlio di operai, fu l’incipit del teorema. Per il secondo mattone di quel colosso, che è andato al mondo per convertirsi in brand, si deve puntare al Nord: Pinerolo. Il giovane fabrianese arrivò fin lassù per mettere in pratica le sue competenze di disegnatore: in cambio ebbe 250 lire al mese e l’occasione della vita. Ma non fu un viaggio di sola andata: Aristide nel 1930 puntò il navigatore in direzione casa, Fabriano, e il 20 luglio lì pose il terzo mattone: una piccola azienda di bilance. Con la sua idea di “sviluppo senza fratture” le Marche uscivano allo scoperto. Allora non si rincorreva il lavoro altrove per abbatterne i costi; piuttosto si concedevano - la trovata fu sempre di Aristide - permessi ai dipendenti in occasione della mietitura e della vendemmia. La territorialità diventava il cemento armato di quella struttura col destino da gigante. Negli anni Cinquanta la Merloni era la prima azienda italiana nella produzione di strumenti per pesare. La quarta mossa fu “diversificare”: si iniziò a produrre, a Matelica, bombole per il gas liquefatto. Vincente fu la sinergia: Enrico Mattei era conterraneo di Aristide e presidente dell’Eni. Merloni costruiva le bombole, Mattei ci metteva il gas e l’Agip acquistava il prodotto. Un’operazione che valse un primato: leader nazionale del settore. Alla fine degli anni Cinquanta si arrivò agli scaldabagni, poi ai fornelli smaltati a gas e in trent’anni furono 400 addetti per mille cucine al giorno, col marchio Ariston. L’unità di misura era il gruppo: un insieme di aziende che fatturavano una cinquantina di miliardi con 3.000 dipendenti e otto stabilimenti.
Di padre in figli 
Da Fabriano al mondo e ritorno. L’aggiornamento d'una cronaca, dal lessico familiare e con il gergo collettivo, raccontava di frigoriferi e dei quattro figli di Aristide: Ester - scomparsa di recente s’era chiamata subito fuori dall’impresa - Francesco, Antonio e Vittorio. Una saga sempre nel segno del padre: la responsabilità sociale dell’impresa. Al passo. Il gruppo dei “tre” s’era già diviso alla morte del fondatore: a ognuno un ramo d’azienda. Il primo, Francesco Merloni, che è stato ministro dei lavori pubblici nel primo governo di Giuliano Amato e nel governo di Carlo Azeglio Ciampi, si mise alla guida della Merloni Termosanitari: oggi è Ariston Thermo Group, protagonista mondiale del comfort termico e dell’efficienza energetica, esempio felice di terzo passaggio generazionale, col figlio Paolo per presidente. Divagazione sul tema: sua figlia Francesca al bianco degli elettrodomestici ha preferito i ritmi e la grazia della poesia e la svolta culturale, nel segno dell’Unesco, della sua, o meglio della loro, Fabriano. 
E due. Il settore meccanico venne gestito, invece, da Antonio: nata come Ardo nel 1968, l’azienda iniziò con la produzione di bombole per Gpl, della quale diviene leader mondiale nel 1976; nel 1989 fu Antonio Merloni srl e l’anno dopo spa. All’apice del successo si contavano circa 5.000 dipendenti sparsi nei 10 impianti produttivi: sette in Italia e tre all’estero; 19 filiali in Europa e due tra Stati Uniti e Australia, con un fatturato di 847 milioni di euro. Contrordine: nel 2008 il gruppo venne travolto dalla crisi e nel settembre 2011 venne approvata la vendita dell’intero perimetro industriale all’imprenditore Giovanni Porcarelli, della Qs Group di Cerreto d'Esi, che riassunse 700 dei circa 2.300 dipendenti. La storia continua con lo stampaggio di materie plastiche e metalliche e la produzione di elettrodomestici di nicchia o professionali. Altra sfumatura del passaggio generazionale. L’ingegner Giovanna Merloni, che a lungo affiancò babbo Antonio in azienda, non s’è certo arresa: sulle colline marchigiane, sotto il segno e il logo di I Beer, s’è messa a produrre birra artigianale. 
Il trionfo del bianco
E tre.

La barra è ancora puntata su Fabriano, siamo sempre cuore di uno dei più importanti distretti mondiali degli elettrodomestici: è qui che Vittorio, il figlio minore di Aristide, da Ariston a Indesit costruì una multinazionale. Sulla via “adriatica allo sviluppo”, l’imprenditore che diede alla lavatrice un nome di donna - la mitica Margherita - aveva portato la Merloni Elettrodomestici da realtà regionale di metà degli anni Ottanta a leader mondiale, con una serie di acquisizioni a cinque stelle: Indesit, Philco, Stinol, Hotpoint. Nel 2005 la svolta con la denominazione di Indesit Company: l’obiettivo era consolidare la dimensione internazionale del gruppo. Ma il passaggio generazionale e i cambiamenti dell’economia mondiale segnavano l’inizio del declino. La grande recessione che ha colpito frigo e lavatrici forse ancor più delle automobili, la concorrenza dei paesi in via di sviluppo, l’esigenza di crescere e investire capitali su capitali, portarono i quattro figli di Vittorio, da tempo gravemente malato, a mollare la storica presa. Per Maria Paola - che sceglie la via del Parlamento prima col Pd poi con Scelta Civica - per i gemelli Andrea (un passaggio da presidente Indesit) e Aristide e per Antonella è il capolinea. Era il 2013 quando i Merloni lasciarono la presidenza che andava all’ad Marco Milani: è stato lui a traghettare Indesit fino all’acquisizione da parte della multinazionale Whirlpool che, con 768 milioni di euro, aumenta la sua presenza in Italia. Anni difficili, amari, ma i dipendenti non dimenticano: durante uno sciopero indossano una t-shirt col volto di Vittorio, l’imprenditore dal volto umano, e la scritta «Ci manchi».

© RIPRODUZIONE RISERVATA