«Io, Angelo a un passo dalla Juve». Castronaro da Porto Sant’Elpidio alla Serie A: «Ora sto con i giovani. Senza rimpianti»

«Io, Angelo a un passo dalla Juve». Castronaro da Porto Sant’Elpidio alla Serie A: «Ora sto con i giovani. Senza rimpianti»
«Io, Angelo a un passo dalla Juve». Castronaro da Porto Sant’Elpidio alla Serie A: «Ora sto con i giovani. Senza rimpianti»
di Peppe Gallozzi
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Sabato 6 Gennaio 2024, 03:05 - Ultimo aggiornamento: 7 Gennaio, 08:17

A sentir gli altri avrebbe potuto fare di più. «Ma non ho rimpianti, se è quello che volete sapere». È rimasto sempre uguale Angelo Castronaro da Porto Sant'Elpidio, ieri calciatore di Serie A oggi allenatore di settore giovanile («È l'unico calcio che mi appassiona», ndr). In mezzo una vita senza compromessi, di valori e principi inattaccabili. Senza guardarsi indietro «perchè ormai, a 70 anni, non serve più».

 
Castronaro dalle sue Marche, con la Sambenedettese, fino alla Serie A con Genoa e Bologna sudando a centrocampo, un bel cammino. Non trova?
«E potevo fare anche di più.

Secondo i miei compagni sono stato frenato nel corso della mia carriera. Prima a 24 anni eri giovane, oggi sei vecchio. Mi tengo però la stima di grandissimi campioni, quella non va più via».

Di chi ad esempio?
«Gianni Rivera, Sandro Mazzola e soprattutto Antonio Juliano, avversari valorosi. Ero come Oriali, una vita da mediano e ne vado fiero».

Juliano se ne è andato di recente, lasciando un grande vuoto
«Un maestro di vita, un capitano vero. Ripensando a Mazzola, poi, mi viene in mente un aneddoto».

Ce lo racconti
«Mi confessò, onestamente non so come facesse a saperlo, che io e Marco Tardelli nell'estate del 1975 eravamo entrambi in corsa per finire alla Juventus. La decisione fu presa anche per motivi logistici, Marco abitava più vicino a Torino e probabilmente incise. Io firmai con il Genoa».

Fu l'unico momento che poteva cambiare la sua storia?
«No, anche ad Arezzo in Serie B nel 1982-1983. Mi voleva l'allenatore di allora, quell'Antonio Angelillo ex bandiera dell'Inter. La società sperava che mi legassi per tre anni, io decisi per un solo anno di contratto. Nell'annata successiva tornai a Civitanova, in Serie C».

Le capita spesso di parlare del suo passato?
«A dir la verità non sono in tanti a chiedermelo».

C’è della delusione in questo, si intuisce
«Di me si ricordano in pochi mentre chi, magari, fa qualche partita in Promozione o Eccellenza si improvvisa intenditore o opinionista come vengono chiamati oggi».

Lei è stato citato da un suo ex compagno ai tempi del Bologna, Carlo Petrini, nel libro "Nel fango del dio pallone" come uno dei pochi che si rifiutò di partecipare a una presunta combine in occasione di una partita con la Juventus
«L'unica cosa che posso dire è che non sono mai sceso a compromessi nel corso della mia carriera, indipendentemente dalla situazione in questione. Forse quest'aspetto del mio carattere mi ha rallentato. Ma non rimpiango nulla».

E' sempre rimasto attaccato alle Marche?
«Ci mancherebbe altro. Sono la mia terra, la mia famiglia, l'inizio e la fine della mia carriera. La Serie A di oggi».

Il calcio fa ancora parte della vita di Angelo Castronaro?
«Si, anche se in maniera diversa rispetto al passato. Ho giocato, ho allenato, oggi preferisco stare con i più giovani che sono la parte più bella di questo sport. Sono uno che parla troppo, posso risultare scomodo con gli adulti».

Qual è l'avversario più forte che ha affrontato?
«Gianni Rivera. Ma quello che mi dava più problemi era Claudio Sala»

Lei non può non essere tifoso di qualche squadra pur avendo fatto il professionista
«Simpatizzo per la Juventus e alla Vecchia Signora segnai anche in modo particolare a Torino»

Si riferisce a quel 4 marzo del 1979?
«Esatto. Feci lo “scavetto”, poi tanti anni dopo arrivò Francesco Totti e tutti lo chiamarono cucchiaio. Sono i tempi che cambiano, ci possiamo fare poco se non accettarlo».
 

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