Bolt e Rudisha, la sfida è solo con i record
Possono abbattere muri prima impossibili

Bolt e Rudisha
Bolt e Rudisha
di Piero Mei
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Sabato 11 Agosto 2012, 10:35 - Ultimo aggiornamento: 21:20

LONDRA - Il Muro di Berlino non l’ha buttato gi lui, ma un pezzo gliene hanno regalato: un pezzo da tre tonnellate, con la sua immagine in corsa (o in volo?) sulla pista bl dell’Olympia Stadion ai mondiali 2009, con scritto semplicemene “WR”, world record, record del mondo. Alludevano al 9.58 sui 100 e 19.19 sui 200. Erano i giorni in cui sulla Sprea si suonava il reggae, altro che la Philarmonia, e sotto la Porta di Brandeburgo il rum aveva fatto sembrare acqua fresca la birra.

Ora Usain Bolt, che simpaticamente alla consegna disse «Ich bin ein Berlino», alludendo all’orso mascotte di quei mondiali e rivisitando il celebre “io sono berlinese” del Presidente Kennedy davanti al Muro, di muri ne ha altri davanti: i muri dell’atletica, almeno quelli dello sprint che è il suo territorio, giacché quelli della corsa lunga meno gli appartengono e apparterranno, e quelli dei concorsi sembrano più miraggi che muri in questi tempi di involuzione delle specialità che da anni, gli anni del dopo doping sotto controllo, stanno tutte andando all’indietro.

Tre, soprattutto, le prospettive di Usain: il 9"50 nei 100, il 19"00 nei 200, e il 43"00 nei 400. Fuori sua portata, ma da affidare al fenomeno Rudisha, l’1'40"00 degli 800 e le due ore della maratona, che già adesso ci sarà qualche ragazzo sugli altipiani del Kenya che, inconsapevole, starà preparandosi all’impresa, magari andando di corsa a scuola tutti i giorni o allegramente competendo con i coetanei. I misuratori scientifici hanno calcolato che il piede di Bolt scarica una potenza a terra di 400 chilogrammi (la scarica del fulmine che è anche elettrica), che le sue spalle sono perfettamente allineate con le anche, che le sue 41 falcate in 100 metri velocissimi contro le 44-45 degli altri fanno una media di metri coperti da ogni balzo di 2,44.

Quando si muove, 30 muscoli della sua gamba sono impegnati, e si tratta di muscoli speciali, costituiti al 90 per cento da fibre a contrazione veloce, mentre i top runners ne avrebbero l’80 per cento e circa la metà noi che al massimo avremmo potuto arrischiarci nello jogging. In più, alto 1,96 com’è, Bolt ha il baricentro più alto dei suoi concorrenti il che, se pure aspetta lo sparo dello starter, gli consentirebbe di scattare meglio di Blake o Weir, un dieci-quindici centimetri più bassi di lui.

Fantasiosa, sembra, la spiegazione dello yam: sarebbe questo tubero molto mangiato in Giamaica, con i suoi componenti particolari, a trasformare l’isola caraibica nel Paese degli Sprint Addicted, quei dipendenti dalla velocità che stanno diventando i concittadini di Usain. Anche in Pakistan ne mangiano assai, ma vanno lenti. Le proiezioni storiche dicono che prima o poi si dovrebbe arrivare perfino all’uomo sotto i 9 secondi, ma si tratterà, pare, di altrettante ère storiche, senza più i dinosauri che siamo e con gli oceani che si saranno mangiati mezza Terra per l’effetto serra.

Piuttosto è Michael Johnson il muro di Bolt: l’americano che vinse 200 e 400 negli stessi Giochi (Atlanta ’96), che fece il mondiale di tutte e due le distanze in quell’occasione, come Bolt a Pechino e Berlino e a Londra no perché non ha forzato. E’ Johnson il ragionevole muro di Rio, prima ancora che possa diventarlo Daniele De Rossi quando arretrerà al centro della difesa e Bolt correrà sulle fasce. Ha detto Wayne Rooney, che ha i piedi per terra: mi sa che è meglio se continua con l’atletica.

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