Cascone di Valentino Rossi, non sarà un’opera d’arte ma anche a Manila lo conoscono

Cascone di Valentino Rossi, non sarà un’opera d’arte ma anche a Manila lo conoscono

di Simonetta Marfoglia
5 Minuti di Lettura
Sabato 12 Agosto 2023, 06:25

Habemus piazzale D’Annunzio. E finalmente Levante ha il suo slargo arredato e identitario. Forse chiamarla agorà, come si è lanciato il sindaco Matteo Ricci alla sua inaugurazione, è leggerissimamente pomposo, ma è innegabile che in quel crocicchio di alberghi, locali e residenze, prima c’era giusto un palo in mezzo a una rotonda (stradale mica sul mare). Per cui, al netto degli strascichi d’ordinanza da buena vista social bar, e con un tocco di nostalgia canaglia (ehhh ma i tempi, ohhh però i costi, ahhh il cemento, uhhh ma il verde è scarsino, ihhh però hanno tolto i parcheggi, e non c’è più neanche il kursaal di una volta..), ci si stava preparando a svallicare un fiacco Ferragosto turistico per ridiscendere verso altri chiacchiericci da fine stagione (ebbene sì, quest’anno la fiera di San Nicola spalmata su 4 giorni può dare soddisfazioni), quando ecco il boomerang che non t’aspetti e ti ritrovi in pieno Giorno della Marmotta, ma niente Bill Murray & Andie Mac Dowell.

Succede che, senza nemmeno una snasata di preavviso, riesplodono le polemiche sul cascone di Valentino Rossi che avevano vivacizzato e ringalluzzito tutta l’estate 2022. Sinossi: alto 6 metri, largo 4, per 400 kg, il cascone è il “pezzo forte” di piazzale D’Annunzio: si può dire che la rinnovata piazza sia stata concepita in sua funzione, dopo essere stato realizzato da Riçcardo Sivelli di Extralab come l’omaggio di Pesaro al 9 volte campione del mondo che, a dispetto del ritiro, rimane sempre tra i volti più popolari e amati. L’anno scorso, pre e post inaugurazione (25 luglio), era stato il principale oggetto/soggetto del cicaleccio sotto l’ombrellone. Non c’è pesarese che non ne abbia (s)parlato e chi dice di no prova a spacciarsi come una moneta da 3 euro. Ma questo accadeva un’estate fa.

È bastato spostare il cascone, riposizionandolo su un velo d’acqua ed ecco che lo stesso ha avuto ancora il dirompente impatto del Buondì meteorite sulla famigliola Mulino Bianco. Come se lo si vedesse per la prima volta o quasi. Forse perché agosto è un mese strano, il periodo del tempo sospeso con la mente distratta dalle vacanze, i pesaresi non rinfrescano le polemiche passate ma creano un cas(c)o nuovo tout court. «Inguardabile» è il commento più misurato, al netto dei paragoni con la vicina Sfera Grande di Pomodoro (nickname Palla), del Villino Ruggeri e dei bei tempi andati con le sinuose ville liberty della zona mare e della città giardino. Peccato che alla base dello sturm und drang dei commenti si annida, probabilmente, un equivoco di base. Nessuno tra i progettisti, ideatori e organizzatori ha mai osato paragonare il cascone a un’opera d’arte, nemmeno l’Amministrazione comunale e lo stesso sindaco Matteo Ricci che pure un po’ di enfasi ai tagli dei nastri ce la mette.

Il cascone è un’installazione sic et simpliciter, senza nessuna velleità e ambizioni artistiche.

Può piacere o non piacere, e qui stiamo nell’ambito delle personalissime opinioni che sono come le scarpe e ognuno ha le proprie, ma tutto va ricondotto nell’ambito di un’attrazione, un veicolo di richiamo, una funzione che, diciamocelo senza per forza dover scadere nel nazionalpopolare, ha finora svolto in modo egregio. Basti solo ricordare che l’anno scorso le prime foto hanno fatto il giro del globo terracqueo dalle Filippine al Canada, insieme al nome di Pesaro. Poi è vero che l’imprenditore e albergatore Nardo Filippetti bacchetta tutti perché manco a Palermo sanno dov’è Pesaro (e va già bene che non ci scambiano più con Pescara) ma forse ora a Manila hanno qualche informazione in più che in Italia. E comunque, vuoi o non vuoi, è stato l’oggetto pesarese più instagrammato e postato almeno fino all’avvio del cantiere e anche in questi giorni, nel piazzale riqualificato, turisti, motociclisti in transito e fan, sono tornati a farsi i selfie ricordo.

E se proprio si vuole una foto accanto a un’opera, ma che sia d’arte, scomodiamo il “forse non tutti sanno che” da Settimana Enigmistica per ricordare che Pesaro, oltre all’evergreen Palla, può contare su un parco urbano diffuso con sculture contemporanee all’aperto, disseminate tra il lungomare, il centro storico e la periferia, e che alla bisogna possono diventare tappe di un interessante itinerario tematico. Opere progettate appositamente per lo spazio pubblico, a partire dagli anni settanta fino ad oggi, che dialogano con la storia dei luoghi. Due o tre dritte: sul molo di Ponente, si erge l’imponente Riflesso dell’Ordine Cosmico (1995) di Eliseo Mattiacci, che lo stesso artista consiglia di vedere all’alba, per vederlo attraversare dalla luce del sole. Sul lungomare, viale Trieste, zona di Ponente, all’accesso con viale Marconi, si ritrova la storica Porta a mare di Loreno Sguanci, simbolo di accesso alla città sul confine tra terra e mare.

O ancora Arim (1982)di Agapito Miniucchi nei giardini Nilde Iotti di via Cristoforo Colombo. Infine, se il cascone resta a prescindere l’oggetto di cui bagolare, allora facciamolo diventare comune intercalare, in omaggio al pesaresissimo “vieni oltre” e al benaltrismo. Sulla falsariga di “E allora il pd?” o anche ”E allora i marò?” bene, lanciamo “E allora cascone?”. Ps: per il copyright offre la casa.

*Capo della redazione di Pesaro del Corriere Adriatico

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