È un disagio profondo che cresce ogni giorno

È un disagio profondo che cresce ogni giorno

di Giovanni Guidi Buffarini
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venerdì 17 aprile 2020, 10:50
Non vuole essere un articolo polemico ma la pacata manifestazione di un disagio di giorno in giorno più profondo. Soltanto del sottoscritto e di pochi altri? Fiutando l’aria, non direi. Il disagio riguarda la comunicazione istituzionale a proposito dell’epidemia in atto. Diciamola tutta: il disagio riguarda la gestione dell’emergenza, non è solo un problema di comunicazione. Per settimane siamo stati bombardati di frasi fatte. Oggi alcune non si portano più. “Andrà tutto bene”, per esempio. Con quasi 22mila morti ufficialmente dichiarati non si può più dire, via. È del pari passata di moda la distinzione in sommo grado irritante fra «morti di coronavirus e morti per coronavirus». La smontò, se ben ricordo, il professor Burioni. Più o meno così: «Il tal signore aveva magari il diabete, d’accordo, ma con l’insulina lo teneva a bada e faceva una vita normale. È stato il virus a ucciderlo, non altro». Che poi un soggetto afflitto da “patologie pregresse” sia più fragile di uno sanissimo, anche un non-medico ci arriva. Viceversa, tira ancora fortissimo l’invito a «non abbassare la guardia», ogni giorno ripetuto più volte ora da questo ora da quello, come fossimo bambini e pure un po’ stupidi. E qualche scemo che si crede furbo c’è, d’accordo, ma si tratta di una netta minoranza. Dopodiché ogni giorno veniamo travolti dai dati. Incompleti, per la stessa ammissione di chi li fornisce. Non è vero che il contagio ha riguardato al momento circa 165mila persone. Sono molti di più. C’è chi stima siano 4 o 5 volte tanti, chi si spinge fino a 10. L’avrete letta la notizia di quell’imprenditore pesarese, si chiama Massimo Cecchini, che, riaprendo, ha sottoposto 48 dipendenti a un test sierologico. Tutti asintomatici, ma 12 sono risultati positivi. I dati significativi sono quelli dei ricoverati, specie in terapia intensiva. Stanno calando, molto bene cosi, il sistema sanitario può respirare. La diminuzione dei ricoverati e l’impossibilità per il Paese di rimanere bloccato indefinitamente dovrebbero portare (condizionale sempre d’obbligo) al superamento del lockdown e all’avvio della ormai mitologica Fase2 il 4 maggio. Diciamola di nuovo tutta. Il lockdown è stata una cosa pesantissima. Non ci sono stati chiesti, non ci vengono ancora chiesti, dei generici “sacrifici”, come è di moda affermare. Il lockdown ha significato, e ancora, la drastica riduzione della nostra libertà. Che la Costituzione, Articolo 13, definisce “inviolabile”. Giustificandone la limitazione solo “per motivi di sanità e sicurezza” (Articolo 16): i saggi padri costituenti avevano previsto situazioni emergenziali, misure estreme. Furbetti anzi scemetti molto minoritari a parte, abbiamo accettato d’esser murati in casa senza battere ciglio. Non c’era scelta. Ora è tempo di cominciare a riappropriarsi della libertà “inviolabile”. Ora, alla vigilia della Fase 2 mitologica, siamo in diritto di porre domande, altro che «non è il momento di discutere», ulteriore frasetta ripetuta a stufo, divenuta irricevibile: non siamo bambini né sudditi, siamo uomini. Riprendo alcune di quelle formulate dal prof Luca Ricolfi, sociologo insigne, mente lucida e critica durante l’emergenza. Perché stiamo facendo ancora pochi tamponi (si è poco sopra il milione, 1,1), e chi se ne importa se «Francia e Spagna ne fanno meno di noi» (così il ministro Speranza)? Serviranno 90 milioni di mascherine, efficaci sul serio, non gli straccetti, grazie. Le avremo? ’Sta faccenda della scarsità di mascherine va avanti dall’inizio dell’epidemia, forse non siamo il Grande Paese che ci vantiamo d’essere. E quanto alla app per il tracciamento dei contatti, sarà mica il caso di illustrarla presto e nel dettaglio così da poterci ragionare un po’? C’è il virus ok, e resterà fra noi fino alla scoperta d’una cura o d’un vaccino, ma la privacy non è una sciocchezza da rinunciarci alla leggera, qualche garanzia ci è dovuta. Infine, e questo il prof Ricolfi non lo chiede, ma non pare proprio l’ultima delle questioni: è dato sapere quando il Parlamento tornerà pienamente operativo, sebbene con modalità inconsuete onde evitare assembramenti? Il blocco (di fatto) della attività parlamentare costituisce una grave ferita nella democrazia.

*Opinionista e critico cinematografico
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