Almeno dieci vittime dell’untore
«Ci ha trasmesso il virus dell’Hiv»

Almeno dieci vittime dell’untore «Ci ha trasmesso il virus dell’Hiv»
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Martedì 24 Luglio 2018, 05:05
ANCONA - Almeno dieci segnalazioni da donne disperate. Tutte di età tra i 30 e i 40 anni e residenti nelle Marche, che hanno composto il numero messo a disposizione della Squadra mobile di Ancona per segnalare un loro precedente rapporto con Claudio Pinti e la contrazione del virus dell’Hiv. Da quando lo scorso 12 giugno è esploso il caso dell’untore, è con una media di una chiamata ogni cinque giorni che nuove presunte vittime si presentano come ex partner dell’autotrasportatore finito dietro le sbarre con l’accusa di lesioni volontarie gravissime. In tutto, sono una decina le donne che hanno chiesto aiuto agli investigatori della questura per metterli al corrente dell’infezione con il virus presumibilmente ereditato dall’indagato. La richiesta di contatto, sempre al telefono, è stata avviata dopo che le presunte vittime si sono sottoposte al test dell’Hiv, a seguito dell’arresto del 36enne nell’inchiesta coordinata dai pm Marco Pucilli e Irene Bilotta. Tutte le contagiate sarebbero state agganciate da Pinti tramite chat.

 

Era proprio attraverso il web, secondo la ricostruzione della procura, che l’uomo cercava di prendere contatti con i partner con cui avviare una relazione sessuale, quasi sempre intrapresa senza la dovute precauzioni. Finora, le parole espresse dalle vittime sono rimaste mere segnalazioni che non si sono tramutate in denunce formali. Sono due quelle che attualmente pendono sul 35enne. Da una parte c’è quella sporta dall’ultima fidanzata, una donna ultraquarantenne che ha scoperto di aver contratto il virus lo scorso maggio, di fatto dando vita all’indagine della Mobile scaturita poi nella misura cautelare del carcere firmata dal gip con l’ipotesi accusatoria di lesioni personali gravissime. Dall’altra, c’è l’esposto presentato qualche settimana fa in procura dalla madre e dalla sorella dell’ex convivente di Pinti, morta a soli 32 anni nel giugno 2017 per una patologia connessa all’Aids. I familiari della vittima – che aveva convissuto con l’indagato per otto anni a Polverigi – chiedono che venga fatta chiarezza sul decesso. Per la procura, sarebbe stato Pinti a trasmetterle il virus, portandola lentamente verso la morte. La donna non avrebbe mai intrapreso un percorso medico continuativo per tenere sotto controllo il virus. Per il caso dell’ex convivente, gli inquirenti ipotizzano il reato di omicidio volontario aggravato. Sarà una perizia, affidata dal gip Carlo Cimini a una infettivologa e a una virologa, a valutare la compatibilità del virus di Pinti con quello che ha infettato le sue potenziali vittime.

In attesa che il dubbio si sciolga, il 35enne potrebbe presto uscire da Montacuto, carcere dove è relegato dal 12 giugno. Le analisi del sangue avrebbero infatti fatto emergere delle condizioni di salute incompatibili con il regime carcerario. La malattia contratta almeno dieci anni fa e mai curata (per Pinti l’Hiv non esiste) potrebbe mettere a rischio la sua vita se condotta all’interno di una cella. Il 35enne ha effettuato anche una visita specialistica immunologica la settimana scorsa all’ospedale di Torrette. I documenti della cartella clinica, però, devono ancora arrivare negli uffici del tribunale e nella mani del difensore Alessandra Tatò. Solo quando avrà le carte in mano potrà chiedere la scarcerazione. Un’istanza dello stesso tenore, poi rigettata, era già stata presentata al tribunale del Riesame.
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