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L’unicorno è una creatura fantastica con il corpo di cavallo ed un singolo corno sulla fronte. Nel linguaggio a volte immaginifico utilizzato nel mondo della finanza, gli unicorni indicano le start-up, cioè le nuove imprese innovative, non ancora quotate in borsa che hanno raggiunto o superato il miliardo di dollari di valutazione. Si tratta di ‘animali’ diffusi soprattutto in USA (oltre 600) e nei principali paesi dell’est Asia (Cina in testa con oltre 300). Meno frequenti nel nostro continente: qualche decina in Francia e Germania, un paio nel nostro paese.
Le ragioni sono diverse ed hanno a che fare sia con la diversa configurazione dei mercati finanziari, indispensabili per fornire capitali di rischio alle start-up, sia con la diversa rilevanza dei settori ad alta tecnologia in cui queste imprese trovavo terreno adatto: dal biomedicale alle piattaforme digitali, dal fintech alla robotica e, più di recente, l’intelligenza artificiale. Il contesto di mercato statunitense o cinese è molto diverso da quello europeo o italiano per cui è poco utile cercare di imitare quello che succede in quei paesi. E’ utile, però, trarne suggerimenti utili, da adattare alle nostre esigenze; nazionali e perché no, anche regionali. L’Italia si è dotata nel 2012 di un quadro normativo volto a favorire la nascita e lo sviluppo di start-up innovative.
La misura è stata sicuramente di successo nel favorire l’avvio di queste imprese il cui numero ha superato le 14.000 nel 2023.
Questo fenomeno è ancor più accentuato nel caso delle start-up innovative proprio perché si muovono in settori caratterizzati da elevata dinamicità ma anche da elevati rischi. Gli unicorni sono possibili solo in presenza di investitori capaci di sostenere questi rischi: il venture capital. Negli ultimi anni vi sono stati diversi interventi volti a potenziare il mercato del venture capital nel nostro paese e fra questi il più importante è il Fondo Nazionale Innovazione di Cassa Depositi e Prestiti. Con il sostegno di questo fondo è stato di recente avviato ad Ancona Next Age, un acceleratore rivolto alle startup che sviluppano soluzioni dedicate alla Silver Economy. A
Accanto agli investitori istituzionali vi è un altro segmento del venture capital rilevante per la crescita delle start-up innovative e che è ancora relativamente debole nel nostro paese: si tratta degli investimenti nelle start-up da parte delle grandi imprese. In tutto il mondo sono infatti i grandi player dei diversi settori dell’alta tecnologia ad investire capitali rilevanti nelle start-up. Solo le grandi imprese dispongono delle risorse finanziare e delle capacità gestionali necessarie per operare in maniera efficace in questo ambito. Si potrebbero però immaginare modelli simili, adatti ai settori e alle dimensioni d’impresa prevalenti nel nostro paese e nel nostro contesto regionale.
Non mancano esempi virtuosi di imprese regionali, anche di piccola e media dimensione, che hanno sostenuto l’avvio e lo sviluppo degli spin-off universitari, cioè le start-up che nascono dalla ricerca. E’ un modello che dovrebbe essere maggiormente diffuso e incentivato; ne trarrebbero vantaggio sia le start-up sia l’intero sistema in termini di innovazione e diversificazione verso settori ad alta tecnologia. E’ importante promuovere iniziative volte a convogliare capitale di rischio alle start-up innovative e favorirne la crescita. Sarà improbabile vedere unicorni dalle nostre parti ma possiamo puntare a creature simili anche se non così immaginifiche.
* Docente di Economia alla Politecnica delle Marche e coordinatore Fondazione Merloni
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