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Il mondo dell’istruzione come il calciomercato: chi offre di più vince. La riforma Calderoli sull’autonomia differenziata apre a una scuola regionalizzata, à la carte. Con quel che ne consegue: il rischio di professori assunti dalle Regioni e non più dal ministero dell’Istruzione, cioè dallo Stato. Raddoppio delle funzioni e, di conseguenza, dei costi.
ASSUNZIONI E PROGRAMMI
Da una parte i palazzi della Pubblica amministrazione a Roma svuotati. Dall’altra il budget delle Regioni che impenna per farsi carico del corpo docente e del personale scolastico. E ancora: inquadramenti contrattuali di docenti e collaboratori, retribuzioni, sistemi di reclutamento e valutazione. Su tutto questo, se la legge autonomista dovesse andare avanti, le Regioni potrebbero avere l’ultima parola.
Lo stesso vale per i programmi scolastici: una volta ottenuta la delega sull’istruzione, sarebbero ancora le Regioni a decidere il menu delle materie e la tabella di marcia sui banchi di scuola. L’ipotesi mette in allarme i sindacati. Spiega Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli insegnanti, che «affidare il reclutamento del personale alle Regioni significa creare differenze tra stipendi e contratti, dunque indebolire un’intera categoria». Ma il piano suscita preoccupazione anche nella maggioranza. Vigila FdI con la sottosegretaria al Miur Paola Frassinetti: «Escludo che si possa procedere in questo senso - spiega al Messaggero - l’uniformità del sistema di assunzione del corpo docenti così come dei programmi scolastici non è in discussione».
I FONDI
Nel 2019 il ministero agli Affari Regionali guidato dalla leghista Erika Stefani provò a dimostrare con una tabellina perché la delega dell’istruzione alle Regioni del Nord fosse un omaggio all’equità e alla giustizia sociale. Il motivo? La spesa media pro-capite per l’istruzione in Lombardia e Veneto, dimostrava il grafico, era molto più bassa che in Campania e Puglia. Ma «chiunque sa che la spesa per l’istruzione deve essere rapportata al numero degli studenti, non alla popolazione», come spiega il giurista Gianfranco Viesti. E infatti senza quel “filtro”, a leggere i dati del governo oggi il quadro appare capovolto. La differenza tra spesa storica e spesa standard - cioè quanto lo Stato spende e quanto dovrebbe spendere per l’istruzione - consegna un conto salato al Meridione. In Lombardia e Veneto è positiva: rispettivamente di 73 e 5 milioni di euro. In altre parole: le due Regioni pro-autonomia hanno ottenuto dallo Stato più di quanto dovuto. Per due Regioni del Sud come Puglia e Campania invece il saldo è negativo: meno 51 e 131 milioni di euro. Senza contare le ore di lezione: alle elementari, al Sud, se ne sono perse cento in un anno. Dati spe spesso ignorati da chi tifa per una scuola regionale, autonoma e “responsabile”.
Corriere Adriatico