Autonomia, la riforma mina la Scuola: cosa cambia con programmi, prof e costi

Autonomia, la riforma mina la Scuola: cosa cambia con programmi, prof e costi
Autonomia, la riforma mina la Scuola: cosa cambia con programmi, prof e costi
di Francesco Bechis
4 Minuti di Lettura
Venerdì 23 Dicembre 2022, 09:42

Il mondo dell’istruzione come il calciomercato: chi offre di più vince. La riforma Calderoli sull’autonomia differenziata apre a una scuola regionalizzata, à la carte. Con quel che ne consegue: il rischio di professori assunti dalle Regioni e non più dal ministero dell’Istruzione, cioè dallo Stato. Raddoppio delle funzioni e, di conseguenza, dei costi. 

ASSUNZIONI E PROGRAMMI
Da una parte i palazzi della Pubblica amministrazione a Roma svuotati. Dall’altra il budget delle Regioni che impenna per farsi carico del corpo docente e del personale scolastico. E ancora: inquadramenti contrattuali di docenti e collaboratori, retribuzioni, sistemi di reclutamento e valutazione. Su tutto questo, se la legge autonomista dovesse andare avanti, le Regioni potrebbero avere l’ultima parola. 

Lo stesso vale per i programmi scolastici: una volta ottenuta la delega sull’istruzione, sarebbero ancora le Regioni a decidere il menu delle materie e la tabella di marcia sui banchi di scuola. L’ipotesi mette in allarme i sindacati. Spiega Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli insegnanti, che «affidare il reclutamento del personale alle Regioni significa creare differenze tra stipendi e contratti, dunque indebolire un’intera categoria». Ma il piano suscita preoccupazione anche nella maggioranza. Vigila FdI con la sottosegretaria al Miur Paola Frassinetti: «Escludo che si possa procedere in questo senso - spiega al Messaggero - l’uniformità del sistema di assunzione del corpo docenti così come dei programmi scolastici non è in discussione». Il ministro Giuseppe Valditara, da parte sua, ha dato rassicurazioni alla Camera: lo spezzatino del corpo docenti e dei suoi costi tra governo e Regioni non ci sarà. Eppure il rischio c’è. Perché se la bozza Calderoli non entra nel dettaglio, le vecchie bozze a cui si ispira sì. Nelle intese firmate dalle Regioni che nel 2017 hanno chiesto l’autonomia - Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna - c’era il pacchetto completo. Assunzioni, concorsi, «fondi integrativi». Inclusi i programmi scolastici: nel 2018 Luca Zaia ha perfino firmato un protocollo con il ministero dell’Istruzione perché si insegnasse nelle aule della regione «la storia dell’emigrazione veneta». Un corso sulla Serenissima e le sue vicende per tutti, «un’anteprima dell’autonomia regionale che verrà», appunto.

Quattro anni dopo, nel silenzio della norma leghista, il destino di un comparto da 1 milione di dipendenti rimane in bilico. «Includere la scuola nelle intese tra Stato e Regioni significa dare a queste la possibilità di decidere su stipendi e assunzioni – nota Sandro Staiano, direttore del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Napoli – con una drastica riduzione delle competenze dei ministeri che si troverebbero svuotati e una probabile desertificazione di Roma e dei suoi apparati». I numeri non mentono. Solo Lombardia e Veneto contano 150mila docenti: il 20% dei professori italiani. Che dunque impegna circa un quinto dell’intero personale attualmente in forze al ministero a Roma. Insomma, il conto di una scuola regionalizzata non sarebbe uguale per tutti. E lo stesso vale per il nodo dei fondi.

I FONDI
Nel 2019 il ministero agli Affari Regionali guidato dalla leghista Erika Stefani provò a dimostrare con una tabellina perché la delega dell’istruzione alle Regioni del Nord fosse un omaggio all’equità e alla giustizia sociale. Il motivo? La spesa media pro-capite per l’istruzione in Lombardia e Veneto, dimostrava il grafico, era molto più bassa che in Campania e Puglia. Ma «chiunque sa che la spesa per l’istruzione deve essere rapportata al numero degli studenti, non alla popolazione», come spiega il giurista Gianfranco Viesti. E infatti senza quel “filtro”, a leggere i dati del governo oggi il quadro appare capovolto. La differenza tra spesa storica e spesa standard - cioè quanto lo Stato spende e quanto dovrebbe spendere per l’istruzione - consegna un conto salato al Meridione. In Lombardia e Veneto è positiva: rispettivamente di 73 e 5 milioni di euro. In altre parole: le due Regioni pro-autonomia hanno ottenuto dallo Stato più di quanto dovuto. Per due Regioni del Sud come Puglia e Campania invece il saldo è negativo: meno 51 e 131 milioni di euro. Senza contare le ore di lezione: alle elementari, al Sud, se ne sono perse cento in un anno. Dati spe spesso ignorati da chi tifa per una scuola regionale, autonoma e “responsabile”.

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