Ma i terremotati vivono ancora nelle casette? Il viaggio dove abita la vergogna nelle Marche

Ma i terremotati vivono ancora nelle casette? Il viaggio dove abita la vergogna nelle Marche
Ma i terremotati vivono ancora nelle casette? Il viaggio dove abita la vergogna nelle Marche
di Martina Marinangeli
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Mercoledì 1 Marzo 2023, 02:30 - Ultimo aggiornamento: 2 Marzo, 15:12

MACERATA- Sembrava di stare sulla bocca dell’inferno. La terra non smetteva di tremare. Non si vedeva nulla e pioveva». I ricordi sono impressi a fuoco nella mente di Isabella Liberti: sono passati quasi sette anni da quella notte maledetta del 26 ottobre 2016, quando una delle scosse più forti dello sciame sismico nel centro Italia, ha colpito le Marche con inaudita violenza. Ma per chi quello choc l’ha vissuto sulla propria pelle, il tempo si è fermato. 


Il tempo sospeso

Un tempo sospeso, come le vite dei terremotati che ancora oggi aspettano di riavere le proprie case.

Isabella e i suoi cari fanno parte di quei 1750 nuclei familiari che dal 2017 sono costretti a vivere nelle Sae, Soluzioni abitative di emergenza tirate su in pochi mesi dopo le scosse e che avrebbero dovuto costituire una soluzione temporanea. Invece sono ancora lì. «Viviamo in cinque persone in 80 metri quadri», racconta Isabella, assegnataria di una delle casette di Pieve Torina. «Quello che fa provare più rabbia è che, a 7 anni di distanza, ci sono solo 3 gru. La ricostruzione è ferma e questo è inaccettabile. A questo punto, penso che la volontà dello Stato sia quella di non ricostruire più questi luoghi». Si arrabbia, ma non si abbatte Isabella: «Ci adattiamo a tutto e ci siamo adeguati anche a vivere nelle Sae, ma rivogliamo la nostra casa, dove c’erano i ricordi di una vita, spazzati via in quella notte maledetta». La sua famiglia è stata tra le prime assegnatarie delle casette: sono entrati il 23 agosto 2017 e non ne sono più usciti. Da allora, hanno fatto buon viso a cattivo gioco, restando in quella struttura decisamente troppo piccola per cinque persone pur di non allontanarsi da Pieve Torina «perché il nostro cuore è qui. Ho sofferto tantissimo quando, nei primi mesi dopo le scosse, siamo stati collocati all’Hotel Holiday di Porto Sant’Elpidio». Una volta tornata, non ha più lasciato la sua terra, ma quelle casette che avrebbero dovuto reggere solo per un breve periodo di emergenza, ora iniziano a mostrare segni di cedimento. Infiltrazioni d’acqua dai tetti, muffa, «e ogni tanto si rompe qualcosa. Per fortuna, mio marito e mio padre sono bravi con gli attrezzi e li sanno aggiustare, ma questa non dovrebbe essere una condizione in cui restare per quasi 7 anni». 

La mappa

E invece, per molti è ancora così. La provincia di Macerata, quella più devastata dalle scosse del 2016 e del 2017, conta il numero maggiore di nuclei familiari ancora ospitati nelle casette: ben 1509 sui 1750 totali. I villaggi Sae più popolosi sono quelli di Camerino, dove si contano 291 famiglie, Muccia con 119, Visso con 211 e la stessa Pieve Torina, dove ce ne sono 180. Una mappa che lascia emergere in tutta la sua devastante brutalità il quadro di quanto poco o nulla si sia mosso per far rinascere quegli splendidi borghi abbarbicati sui Sibillini, costringendo chi ci viveva ad un’attesa interminabile. Un tempo sospeso, appunto. Scandito da una burocrazia che ha strangolato la ricostruzione e bloccato migliaia di persone in strutture che avrebbero dovuto ospitarle per qualche mese appena. Uno scandalo che grida vendetta. Nel cratere sismico, che oltre alla provincia di Macerata include anche molti Comuni dell’Ascolano e del Fermano, e alcuni dell’Anconetano, sono state realizzate complessivamente 3800 Sae per le quali sono stati spesi 220 milioni di euro, a cui si aggiungono i 190 milioni per le urbanizzazioni. «Di questo passo, ci metteremo 30 anni per riuscire ad uscire da queste casette», le parole intrise di amarezza di Simonetta Mogliani, che vive nel villaggio Sae ribattezzato La Serra a Pieve Torina: «Si sono dimenticati tutti di noi. Da governo alla Regione, tutti. Doveva essere una soluzione temporanea, ci hanno presi in giro. Avevo una casa di 200 metri quadri e ora ci ritroviamo a vivere in una da 60 mq in quattro. Non abbiamo più posto per mettere le cose. Mio figlio di 26 anni sta pensando di trasferirsi in un’altra città perché questa non è vita».

La beffa

Ma siccome non c’è limite al peggio, al danno si aggiunge la beffa. Molti assegnatari delle casette si sono visti recapitare, negli scorsi giorni, una richiesta di contributo da corrispondere per i canoni mensili arretrati da inizio 2021. E in alcuni casi, la cifra supera i 2mila euro. Un salasso che ha il sapore di una presa in giro per chi tutto vorrebbe, fuorché continuare a vivere lì. Eppure, in quel limbo in cui si è trasformato il cratere del sisma, succede anche questo. La resilienza dei marchigiani è nota, ma la pazienza ha un limite e quello delle popolazioni terremotate è stato superato. Si parla spesso di invertire il trend dello spopolamento nelle aree interne della regione. Poi, però, si costringono le persone a vivere ammassate in strutture minuscole e non adatte a reggere così a lungo nel tempo infinito.

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