Così il clima cambia la moda: «Sta già calando il fatturato nessuno sa più come vestirsi»

Il meteo impazzito impone un new deal al settore. Categorie in allarme: «Con il cambiamento delle temperature, le aziende devono reinventarsi»

Così il clima cambia la moda: «Sta già calando il fatturato nessuno sa più come vestirsi»
Così il clima cambia la moda: «Sta già calando il fatturato nessuno sa più come vestirsi»
di Véronique Angeletti
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Sabato 27 Aprile 2024, 02:20 - Ultimo aggiornamento: 28 Aprile, 16:22

ANCONA - I cambiamenti climatici mettono a dura prova la moda, costretta a ripensarsi e riorganizzarsi. Dalla sostenibilità dell’approvvigionamento, al marketing che deve fare seguito ad un radicale cambiamento di acquisti. «È vero che il mercato non sta recependo prodotti studiati per le consuete stagioni - commenta Paolo Silenzi, presidente Cna Marche - Il che si traduce in un sostanzioso calo di fatturato. Inoltre - aggiunge – si pone un grave problema di campionatura che non può più corrispondere ai parametri delle stagioni tradizionali e costringe le aziende a reinventarsi».

Il nuovo corso

Spiega che stanno cercando di lavorare su nuove proposte che hanno costi cospicui. «Spese di prototipi, di sostenibilità che avranno ripercussioni sui prezzi con il rischio di lasciare tanta merce invenduta nei negozi». Scelte confermate da Moira Amaranti, presidente di Confartigianato Moda Marche e nazionale di Confartigianato Calzaturieri. «Il nostro settore - entra nel merito - in questi ultimi anni si è in parte attrezzato ideando prodotti con materiali validi per le quattro stagioni».

Una trasformazione che dà delle risposte a quel passaggio repentino dall’estate all’inverno. «Prodotti che possono essere indossati e calzati tutto l’anno, che si distinguono per colori e non bloccano le vendite, il consumo, la produzione e non riempiono i magazzini». Anche se secondo lei la contrazione dei consumi attinenti alla moda e alla calzatura è dovuta più di tutto ad una riduzione del potere d’acquisto. «Il che impone - avverte - da parte della politica l’applicazione di strategie specifiche per rilanciare i consumi, favorire l'ammodernamento del sistema produttivo e l'internazionalizzazione».

Ed è proprio la crisi dei consumi a preoccupare Massimiliano Polacco, direttore di Confcommercio Marche. «Il clima ha condizionato il giro d’affari dei commercianti che già - ricorda - avevano subito le conseguenze del Covid e quelle dell’innalzamento dei costi. Dicembre è stato un mese di acquisto più incentrato sugli accessori che sul capospalla».

Modifiche dei comportamenti d’acquisto che impongono cambiamenti di gestione da parte dei commercianti. «Le scelte fatte a marzo per le vendite invernali – suggerisce - devono tenere conto dell’andamento del meteo per non creare delle scorte difficili da smaltire con i saldi. La moda è veloce ed eclettica e lancia delle sfide finanziarie che devono tradursi con scadenze di pagamento meno rigide e un accesso al credito agevolato per il bene dell'economia e del ruolo sociale dei negozi di abbigliamento nei centri storici».

La ricetta

Per Sandro Assenti, presidente Confesercenti Marche, il legame clima-moda va affrontato dal comparto come filiera e con gli strumenti giusti. «A valle, chi produce deve utilizzare materiali e modelli che vadano bene per la maggior parte dell’anno; a monte, vanno applicate misure a sostegno dei commercianti. Il periodo dei saldi che consente di recuperare le vendite perdute dovrebbe adeguarsi alle mutate condizioni climatiche». E ancora: «Andrebbe applicato un regime fiscale agevolato per i negozi con un fatturato inferiore a 500mila euro. Vanno poi studiati affitti ragionevoli nei centri naturali che rischiano di essere monopolizzati e quindi standardizzati dagli stessi brand».

Per Valentino Fenni, vicepresidente Assocalzaturieri e presidente Moda Confindustria Fermo «il problema del clima è comune a tutti i nostri competitori internazionali. Dalla Turchia al Portogallo. Diverso, il costo del lavoro che, in Italia, influenza stipendi che, faccia caldo o freddo, non lasciano spazio agli acquisti. Pertanto, spetta alla politica nazionale agire anche perché a livello regionale cosa potrebbero fare? Dare un contributo perché non ha piovuto o perché fa caldo? Le richieste sono comunque sempre superiori alle disponibilità come per l'ultimo bando internazionalizzazione». Conclude: «Stiamo ancora aspettando la lista dei tecnici certificatori per il credito d’imposta sulla ricerca e sviluppo dove siamo arrivati alla scadenza della seconda proroga. Perciò chiedere contributi per il cambiamento climatico mi sembra inverosimile anche se potrebbe essere necessario».

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