Casoli: «Istituti nostri? Solo per amici. Ma Confindustria resta zitta»

Francesco Casoli
Francesco Casoli
di Martina Marinangeli
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Sabato 2 Marzo 2024, 03:50 - Ultimo aggiornamento: 3 Marzo, 11:44

Francesco Casoli, patron di Elica, guarda indietro con meno nostalgia del governatore Francesco Acquaroli e non si sente affatto «orfano di Banca Marche». E nel riavvolgere il nastro, tira fuori dalla scarpa più di un sassolino.


Che tempi erano quelli di Banca Marche, la banca del territorio?
«Con Banca Marche abbiamo avuto una storia molto interessante, alla faccia della banca del territorio. Un giorno mi chiamò il direttore Bianconi avvertendomi che Elica sarebbe stata azzerata a livello di credito».
Perché?
«Doveva destinare questi crediti verso operazioni locali nell’immobiliare».
Di che cifre parliamo?
«Mi chiese di rientrare in due giorni di 5 milioni di euro». 
Non esattamente pochi spicci: una piccola azienda finirebbe sul lastrico.
«Per fortuna, ora come allora, abbiamo le spalle sufficientemente larghe per non aver problemi di fronte a comportamenti di questo tipo. Ma per le piccole aziende che hanno ricevuto lo stesso trattamento non è stato per niente facile».
Trattamento giustificato in che modo?
«Le banche del territorio spesso sono governate in maniera troppo provinciale e non sempre basano le loro scelte sulla bontà e la validità delle idee dell’imprenditore o dell’azienda». 
Tradotto? 
«Guardano meno ai fondamentali e più ai rapporti amicali. Questa cosa l’ho sempre contestata alle banche locali». 
C’è una scuola di pensiero secondo cui le banche del territorio sono indispensabili per finanziare le piccole aziende locali.
«Sono assolutamente contrario perché le piccole aziende locali, se si mettono sul mercato nazionale o internazionale con delle buone idee, non hanno nessun problema ad accedere il credito». 
E le banche locali non potrebbero agevolare questo percorso, essendo più a misura d’uomo?
«Non direi. Succede che questi istituti facciano la fine di Banca Marche: saltano in aria, le persone perdono i loro soldi, vengono acquisiti da banche nazionali che chiaramente li usano in maniera fredda e impersonale».
Invertiamo l’equazione: non avere una banca del territorio e doversi interfacciare con grandi player del credito non rischia di sfavorire il piccolo?
«Ma figurarsi. Le grandi banche alla fine sono fatte di persone che lavorano nelle filiali dei territori e con loro si interfacciano. Sono sempre alla ricerca di nuovi clienti tra i piccoli imprenditori per allargare la loro base. Io penso l’opposto».
Ovvero?
«Penso che la banca locale faccia male al piccolo: o non gli dà i soldi perché non è nel cerchio degli amici, o glieli dà in maniera sconsiderata. Non si basa sulla meritocrazia, criterio al quale sono invece molto attente le grandi banche. Questo il business deve capirlo: tutto deve basarsi sul merito, a partire dal credito».
Molti piccoli imprenditori però si lamentano delle difficoltà di accedere ai finanziamenti.
«C’è un problema di mancanza di rappresentanza. Sono sempre stato molto critico nei confronti delle organizzazioni che rappresentano le piccole e medie imprese. Una su tutte: Confindustria».
Cosa recrimina a Confindustria?
«Dovrebbe fare una battaglia su questo tema. Non per creare una banca locale, ma per mettere insieme i bisogni delle piccole e medie imprese e fare da “sindacato” delle Pmi nei rapporti con le grandi banche».
Una sorta di intermediario?
«Un ruolo che Confindustria può e deve esercitare. Abbiamo bisogno di buona finanza e di buone aziende locali, ben rappresentate da organizzazioni come Confindustria che devono stare al passo con i tempi. Qualcuno che abbia la forza di fare la voce grossa con le banche nazionali per far capire quali sono i bisogni del territorio».
In questo contesto la politica che ruolo deve avere?
«Le grandi banche sono alla continua ricerca di interlocutori sul territorio per ampliare la loro rete di distribuzione.

La politica, come Confindustria, deve creare le strutture per far sì che piccoli e piccolissimi imprenditori possano avere un confronto con gli istituti. Ma eviterei di replicare l’esperienza di Banca Marche perché è stata davvero nefasta. Non ripetiamo lo stesso errore».

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