La denuncia e il processo non hanno salvato l'infermiera: «Il Codice Rosso non basta»

La denuncia e il processo non hanno salvato l'infermiera: «Il Codice Rosso non basta»
La denuncia e il processo non hanno salvato l'infermiera: «Il Codice Rosso non basta»
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Lunedì 16 Ottobre 2023, 04:45 - Ultimo aggiornamento: 12:31

CERETO D'ESI - La denuncia per maltrattamenti. La misura cautelare per lui, la protezione per lei e la figlia 16enne. Il processo incardinato nel giro di sette mesi, oltretutto con il giudizio immediato, che scatta quando le prove sono evidenti e chiare. Sembra un meccanismo perfetto, eppure non è bastato a impedire il massacro di Concetta Marruocco, l’infermiera uccisa a coltellate dal marito da cui si stava separando, l’operaio Franco Panariello.

La tragedia di Cerreto d’Esi pare dire paradossalmente: dal punto di vista giuridico ha funzionato teoricamente tutto, ma in realtà non ha funzionato niente. Perché una falla nel sistema è chiaro ci sia stata. 
Per la presidente della Camera Penale di Ancona, l’avvocato Francesca Petruzzo, davanti ai reati di genere «va rafforzata la prevenzione, ma non tanto con le misure coercitive nei confronti degli indagati.

Piuttosto con l’assistenza psicologica o, se serve, psichiatrica». 


In aula


È quasi tardi quando «si arriva al processo perché sono già marcate le figure della vittima e del presunto carnefice. Un processo, tra l’altro, non ferma una persona pericolosa, così come non la ferma il carcere perché dal carcere prima o poi uscirà». Già a partire dalla separazione «bisognerebbe intervenire sull’educazione e su un sistema sociale forte che raccolga la richiesta di aiuto e di malessere, che non vuol dire malattia mentale, ma stato di difficoltà». Una richiesta che viene sia dall’ipotetico maltrattante, che dalla vittima. 


La dottoressa Katia Marilungo, presidente dell’Ordine degli Psicologi delle Marche, sovverte il sistema: «Quella modalità per cui le donne vengono allontanate dalla propria casa e collocate nelle strutture protette va decisamente rivisto. Perché non proviamo a contenere l’uomo violento e non la donna che subisce? L’uomo, se ci sono i segnali di una sua pericolosità, non può starsene a piede libero con il rischio che possa colpire chi ha denunciato». 


Il passaggio


Di qui, l’idea di un passaggio al contrario: «Anche con l’ultimo femminicidio - afferma la presidente - abbiamo visto che il sistema è fallace: anche quando sembra funzionare, non funziona. Perché comunque se un violento vuole uccidere, alla fine riesce a trovare la donna e ammazzarla. Per questo dico, mettiamo in sicurezza la vittima ma non lasciamo in giro potenziali criminali, facciamoli accogliere in strutture dove possano intraprendere un percorso educativo e riabilitativo, anche solo per superare la crisi portata dalla separazione e per elaborare la fine della relazione. Il tempo necessario, ovviamente».

 
Una riflessione è arrivata anche da Maria Lina Vitturini, presidente della Commissione Pari Opportunità delle Marche: «È evidente - dice riferendosi al caso di Cerreto - che qualcosa non ha funzionato. Bisogna fare di più, le leggi non bastano. Quello che fa ancora più male è che la signora aveva denunciato. Il caso di Cerreto è la punta dell’iceberg di un sistema carente e non possiamo pure stare a guardare la mattanza che va in scena quasi tutti i giorni. Il 18 ottobre io le altre presidenti delle commissioni regionali ci ritroveremo a Roma con la ministra Roccella proprio per capire come agire sui temi del femminicidio e del Codice Rosso». 


L’attenzione


«Il sistema, per quanto possa funzionare bene, non è infallibile» dice l’avvocato Roberta Montenovo, presidente di Donne e Giustizia, considerando l’aspetto giuridico del caso di Cerreto. «Mi viene da fare una considerazione sull’aspetto preventivo: se in casi estremi possa essere fatta una maggiore valutazione del rischio, sia per mettere in sicurezza la vittima, sia per applicare un’eventuale misura cautelare restrittiva per la persona denunciata». 

L’avvocato anconetano Alessandro Calogiuri ha spesso tutelato le vittime di violenza domestica. «Il Codice Rosso - riflette il legale - parte spesso velocemente, ma poi l’attenzione sulla vittima rischia di scemare. Anche dopo l’eventuale applicazione di una misura cautelare, bisogna sempre tenere presente che c’è una vittima e un carnefice; e che l’ascolto della donna non si deve fermare all’inizio ma continuare». La chiosa: «L’interpretazione della dinamica dei fatti non deve confondere l’aggressione unilaterale con una conflitto bilaterale». 
Federica Serfilippi
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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