La lite finita con due morti
per un debito di 16 mila euro

La lite finita con due morti per un debito di 16 mila euro
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Martedì 16 Settembre 2014, 20:06 - Ultimo aggiornamento: 17 Settembre, 16:47

FERMO - Cinque bambini e un sesto in arrivo rimasti senza padri. Le famiglie degli ex operai uccisi dall'imprenditore a colpi di pistola non vogliono sentir parlare di 'legittima difesa'. Il giorno dopo la tragedia di Molini di Girola, la frazione dove il costruttore Gianluca Ciferri ha ucciso Mustafà Nexhmedin, 38 anni, e Avdyli Valdet, 26, due suoi ex operai kosovari in credito di circa 16 mila euro di stipendi arretrati, la comunità fermana è ancora sotto choc.

Oggi in cella Ciferri ha incontrato il suo legale, l'avv.

Savino Piattoni, che all'uscita non ha voluto fare commenti con i giornalisti, in attesa dell'udienza di convalida, prevista entro venerdì.

Parlano invece il fratello e il legale di Mustafà. «Era stato Ciferri a chiamare mio fratello e Avdyli ieri mattina: aveva detto 'venite qua, lasciamo stare gli avvocati, ci mettiamo d'accordo e vi do i soldi, ce l'ho a casà. E invece...» racconta Zeko Nexhmedin. Mustafà doveva avere circa 11.800 euro, e oltre 4.400 euro Avdyli. «Mio fratello - dice Zeko fra le lacrime - da un paio di mesi aveva trovato un posto in un'altra impresa di costruzioni. Ieri mattina ha ricevuto la telefonata di Ciferri e ha chiesto il permesso di allontanarsi, per andare da lui con Avdyli. In cantiere scherzavano: gli hanno detto 'se questi soldi li prendi poi ci paghi una birrà, e lui, 'ma no, vi pago una cena!', invece è morto...dico, ma come si fa ad ammazzare la gente così...Stiamo in Italia da anni, io da 20, anche un altro nostro fratello vive qui. Non abbiamo mai creato problemi. Voglio giustizia - ripete -, solo quello, ma qua la giustizia non c'è...».

Valdet era rientrato in Italia domenica dal Kosovo, dove era tornato a vivere accanto al figlio piccolo e alla moglie, incinta, che ancora non sa nulla di quanto è accaduto. Al momento dell'arresto per duplice omicidio Ciferri ha detto di essersi difeso perchè i due operai lo avrebbero minacciato con un piccone (forse un attrezzo dello stesso imprenditore trovato sul posto). Ma l'avv. Renzo Interlenghi, incaricato da un altro fratello di Mustafà, Mustafa Mustaf, obietta che «invocare la legittima difesa quando si sparano cinque colpi di pistola a raffica mi pare una tesi difficile da accettare». Secondo alcune indiscrezioni non confermate Valdet sarebbe stato colpito durante la fuga verso i campi: sicuramente, ha detto il procuratore di Fermo Domenico Seccia, le vittime sono state uccise in tempi successivi, una circostanza che potrebbe aggravare la posizione del costruttore. Anche lui è incensurato, ed è un appassionato di armi (in casa i carabinieri hanno sequestrato pistole e fucili regolarmente detenuti). Ieri aveva un revolver cal. 38 carico, e l'ha scaricato addosso ai due carpentieri, forse al culmine di una colluttazione, come farebbe pensare il dolore ad un braccio lamentato dall'omicida, che si è anche fatto medicare in ospedale. «Stando a tutte le testimonianze Mustafà e Avdyli erano due brave persone - sottolinea Interlenghi -, non avevano alcun precedente, nessuna segnalazione. Mustafà poi era perfettamente integrato: tanto che aveva fatto domanda per ottenere la cittadinanza italiana». I Cc intanto continuano a raccogliere dati e a incrociare testimonianze, in un'indagine che si prospetta piuttosto lunga e complessa.

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