Ciferri in carcere
"Mi hanno ferito"

Ciferri in carcere "Mi hanno ferito"
di Roberto Rotili
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Martedì 16 Settembre 2014, 10:48 - Ultimo aggiornamento: 17:00
FERMO - “Ho sparato per difendermi”. E’ la difesa di Gianluca Ciferri, piccolo imprenditore fermato di 48 anni, tre figli e una giovane compagna. Lo ha detto ai carabinieri che ha chiamato lui stesso subito dopo avere sparato a Mustafà Nexhemedin e Avdyl Valdet al culmine di una lite.







"Ho sparato per difendermi”, ha ripetuto ancora Ciferri per tutto il pomeriggio ai carabinieri e al magistrato, il pm di Fermo Nadia Caruso che coordina le indagini. Ma non è bastato. Per lui si sono aperte in serata le porte del carcere. Una misura cautelativa ritenuta necessaria perché la vicenda è ancora molto da chiarire. “Davvero una brutta storia” si fa scappare uno degli investigatori. Lo scenario non è dei più chiari. La storia che in primo momento sembrava “semplice” a mano a mano che sono passati i minuti e le ore è diventata di volta in volta sempre più complessa.



Da una parte c’è la versione data dall’imprenditore fermano. Gianluca Ciferri, difeso dall’avvocato Savino Piattoni, dice di essere stato aggredito all’improvviso dai due ex operai. Non ci sono testimoni. Era solo in casa. I due uomini lo avrebbero colpito con una piccozza, uno strumento simile ad un martelletto generalmente usato dai muratori per piccoli lavori. Lui impaurito sarebbe riuscito a divincolarsi, a trovare riparo nella vicina dependance, dove teneva l’arma, e quindi poi ha fatto fuoco.









C’è poi la questione sindacale. I due vantavano da tempo dei crediti nei confronti dell’imprenditore. Addirittura Mustafà Nexhemedin, il più grande, 38 anni, padre di quattro figli piccoli, si era rivolto ai sindacati per poter avere ragione. Con l’aiuto del sindacato Uil aveva ottenuto il licenziamento per giusta causa seguito poi ad un decreto ingiuntivo nei confronti dell’imprenditore che stava facendo ora il suo corso. Nexhemedin era conosciuto per la sua vertenza anche alla Cgil di Fermo che aveva pure preso a cuore il caso. I sindacati ieri hanno sottolineato: “Le richieste dei due lavoratori erano state diverse, reiterate e non ascoltate. Questa è l’ennesima tragedia scatenata da una crisi infinita, che in cinque anni ha fatto perdere 12 mila posti di lavoro solo nel settore edile e cancellare tremila imprese”.



E poi dall’altro lato c’è una versione completamente opposta a quella dell’imprenditore fermano. Quella dei familiari delle due vittime. Parlano di un credito per stipendi mai ricevuto intorno ai 15 mila euro per Nexhemedin, e di circa 5 o 6 mila per il giovane fratello della moglie, anche lui kosovaro, Valdet Avdyl, 26 anni. Stipendi che sarebbero stati accumulati nel tempo. Ma c’è dell’altro, tutto assolutamente ancora da confermare ma sostenuto chiaramente dai familiari dei due morti: i tre avrebbero avuto un appuntamento, è per questo pure che sarebbe tornato in Italia il più giovane proprio l’altro ieri.



Il fratello di Mustafà Nexhemedin ieri lo ha confermato, raccontando che a casa erano a conoscenza dell’incontro e che speravano in una soluzione della vicenda: “Noi sapevamo che Mustafà e Valdet avevano un appuntamento oggi (ieri, ndr) con Ciferri, hanno detto che era alle 11 alla rotonda di San Giuliano, non sappiamo perché dopo erano in casa sua, non sappiamo spiegarcelo. Mustafà aveva pure interrotto il lavoro proprio per andare su. Possono aver sbagliato nei toni - ripeteva ieri il fratello di Mustafà - ma che siano andati su armati non ci credo proprio”. Quella di ieri è stata una giornata convulsa: subito dopo la tragedia che si è consumata in via Monte Pacini, i carabinieri hanno ascoltato una quindicina di persone per cercare di ricostruire la vicenda. Oggi gli interrogatori continueranno. Mustafà Nexhemedin e Valdet Avdyl sono morti, non possono più parlare. Resta solo Ciferri. Altri testimoni oculari non ce ne sono.





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